Se c'è qualcosa di cui abbiamo sommamente bisogno, questo è il senso di responsabilità. E se c'è qualcosa di cui il governo sta dando prova molto concreta è proprio questo senso di responsabilità.
La Finanziaria per un anno elettorale come il 2006 non è affatto «elettorale»: anziché puntare su un deleterio ciclo economico «politico-elettorale», ne attenua le spinte per salvaguardare le condizioni di crescita dell'economia italiana e quindi il futuro di tutti.
La manovra correttiva da 5 miliardi di euro decisa venerdì scorso - «senza mettere le mani nelle tasche degli italiani» - risponde allo stesso criterio, ben diverso da quello di altre manovre (letteralmente «stangate») del passato e da altre Finanziarie elettorali. Come quella, irresponsabile, confezionata per il 2001 dal governo Amato all'insegna del «dare, non prendere», quando si sarebbe dovuto utilizzare risorse allora disponibili (prima dell'11 settembre, prima dell'onda d'urto della globalizzazione).
Dunque sul rigore nei conti pubblici non si può scherzare. Ma proprio per questo non si può ricorrere sempre, per ragioni strumentali puramente politiche e di infima tattica elettorale, ai due pesi e alle due misure. Tanto meno si può saltabeccare con i soliti mezzucci, come fanno le opposizioni, da tutto al contrario di tutto.
Un punto fermo è che abbiamo bisogno di garantire, al di là di ogni dubbio, la nostra credibilità finanziaria davanti ai mercati internazionali. Il rischio di un richiamo europeo per deficit eccessivo, oltre quanto concordato nel programma di rientro, è troppo grave in questo momento. Per la nostra finanza pubblica e soprattutto per la nostra economia sarebbe più grave ancora un futuro declassamento del debito italiano con pesanti ripercussioni sui tassi d'interesse.
La manovra correttiva da 5 miliardi sui conti del 2005 è in questo senso la dimostrazione concreta che il governo intende fare chiarezza nella più rigorosa trasparenza, dando ai mercati e alla stessa economia italiana la certezza del massimo senso di responsabilità per il futuro. È esattamente l'opposto di quanto si vorrebbe far credere. Di fronte ad entrate ipotizzate di 6 miliardi di euro da dismissioni immobiliari (inserite appunto come ipotesi nel Dpef, il Documento di programmazione economico-finanziaria dell'anno scorso) di cui ormai si può avere certezza soltanto per 1 miliardo, la determinazione di Tremonti corrisponde al criterio della verità, della responsabilità e del rigore. Se mai suonano penosamente imbarazzanti certe «riabilitazioni» di Siniscalco proprio da parte di coloro che non gli avevano risparmiato le più velenose intimidazioni politico-accademiche.Piuttosto è importante che questa operazione-verità sia stata realizzata, come ha detto il ministro, senza «mettere le mani nelle tasche degli italiani»: cioè senza togliere risorse produttive alle imprese né potere d'acquisto alle famiglie, anzi confermando le riduzioni fiscali già introdotte nei limiti delle possibilità. Cosa ben diversa dall'esperienza di tante manovre di bilancio passate, autentiche «stangate», nonché da certe Finanziarie smaccatamente elettorali come quella irresponsabile del centrosinistra per il 2001 con il governo Amato.
Intanto, mentre si consolidano i sintomi di ripresa economica (nella fiducia, negli ordinativi, nella produzione industriale, nella crescita non contingente dell'occupazione in netta controtendenza rispetto all'Europa), la Finanziaria 2006 all'esame del Parlamento è a sua volta un segno molto impegnativo di responsabilità per il fatto stesso di non essere uno strumento elettorale. Anziché promuovere un deleterio ciclo economico «politico-elettorale», ne attenua e ne disciplina gli effetti: guarda al futuro dell'economia, alle sue esigenze di crescita competitiva.
È un impegno di rigore, una prospettiva di credibilità per tutti, imprese e famiglie. Certo, ci vorrebbe un Quintino Sella, il leggendario ministro delle Finanze dopo l'unità italiana, statista, matematico e geologo, fondatore del Club Alpino, che puntò al pareggio del bilancio (e del quale si narra che portasse da casa le candele per illuminare sobriamente la sua stanza al ministero). Ce ne vorrebbero non uno, ma mille, un milione. La scrivania di Quintino Sella sta però ancora ad ammonire sul rigore finanziario nel dicastero di via XX Settembre. Essa fu l'unica «dotazione» di Luigi Einaudi, primo ministro del Bilancio nel 1947 nel VII governo De Gasperi quando, estromesse le sinistre frontiste, sconfisse l'inflazione e pose le basi del «miracolo economico». Fu di Ugo La Malfa, Guido Carli, Carlo Azeglio Ciampi in momenti cruciali.
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