Pacifici: «Ma io dico, non diventi un pretesto per neonazisti»

Si dice «incuriosito», addirittura «affascinato», ma reclama garanzie e paletti, per evitare che un’idea carica di buone intenzioni possa prendere una piega inaspettata, addirittura pericolosa. Riccardo Pacifici (nella foto), presidente della comunità ebraica di Roma, accoglie con una mezza smorfia l’ipotesi di ripubblicare in Germania il Mein Kampf. «È senz’altro una sfida - sentenzia - un’idea che stuzzica. Però solleva molti interrogativi».
Di che tipo?
«Capisco il fine accademico, lo giustifico. Ha senso analizzare come sia stato possibile che il Paese più evoluto e illuminato d’Europa abbia potuto partorire un’ideologia come quella, per giunta ammantata di consenso. Allo stesso tempo, non vorrei diventasse un veicolo di propaganda per organizzazioni criminali neofasciste e neonaziste, che potrebbero interpretarlo come un lasciapassare, un pretesto per diffondere le idee di inferiorità della razza».
Secondo lei, ad ogni modo, un «niet» non è la soluzione.
«La soluzione è la vigilanza, il monitoraggio, l’intelligenza di saper mettere i freni al momento giusto. Capisco il fine accademico, ma le argomentazioni del libro devono essere contestualizzate e ragionate in ogni ambiente, non solo in quello ristretto delle università. Devono diventare un mezzo di discussione e non uno strumento per tesi di laurea».
L’Italia sembra già avere intrapreso questo percorso. L’edizione del testo di Adolf Hitler ha una postfazione curata dal presidente dell’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti.
«È vero, ma esistono anche tante versioni clandestine di case editrici neofasciste, venduti in finti negozietti per collezionisti. Non immagina quante denunce abbiamo presentato. Il nostro Paese, a conti fatti è in ritardo: sa tutelarci, ma se si escludono alcuni processi sommari non ha mai fatto veramente i conti con il suo passato. In Germania è diverso».
A cosa allude?
«Al paradosso che tiene in bilico tutta questa vicenda, al fatto che si siano invertite le parti. Il Consiglio centrale ebraico ha detto sì alla ristampa, ma il governo della Baviera si è opposto. E sa perché? Perché lì ci sono gli anticorpi di un garantismo estremo, la nazione è riuscita a riscattare la sua vergogna. È in prima linea nel mondo per condannare qualsiasi tentativo di negazionismo, l’opinione pubblica sa quando deve arrabbiarsi. Infine, ha adottato per prima il 27 gennaio come “Giorno della memoria” ma lo chiama in un altro modo, secondo me bellissimo: “Giornata del sentimento”».
E la comunità ebraica italiana come ha reagito di fronte a questa notizia?
«Con la giusta curiosità. Siamo favorevoli al dibattito, abbiamo dalla nostra la voglia di non chiuderci a riccio, di non lasciarci travolgere dall’emotività che, inevitabilmente, certe questioni portano con sé.

L’unico freno è che sappiamo che in Europa esistono partiti che puntano su sentimenti razzisti e hanno consensi non allarmanti, comunque da non sottovalutare. In qualsiasi modo andrà a finire questa storia, l’importante è che iniziative del genere vengano gestite nel modo giusto, per evitare che si trasformino in un boomerang».

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