Parigi e Berlino ci hanno dettato le regole Ora copiamo le loro ricette anti-evasori

Un solo anno di "sommerso" sarebbe sufficiente a riportare in sicurezza i conti pubblici. E' una piaga da 270 miliardi, pari al 16% del nostro pil

I «sacrifici» che hanno fatto piangere in mondovisione il neo ministro del Welfare, Elsa Fornero, riguardano soprattutto due sacri rifugi del popolo italiano e dell’intera cultura occidentale: la casa e la pensione. Il ritorno dell’Ici (anche se nella nuova forma dell’Imu) sulla prima abitazione riguarda 24,2 milioni di italiani (a fronte di 25 milioni di famiglie residenti); l’innalzamento dell’età pensionistica interessa tutti i lavoratori che andranno in pensione nei prossimi anni (oggi sono 16 milioni, si calcola che tra 30 anni saranno più di venti).
Ebbene, questi due caposaldi della manovra Monti sono stati presentati, tra l’altro, come adeguamenti del nostro sistema fiscale e previdenziale ad altri ordinamenti occidentali che già prevedono le tasse sulla prima casa ed età pensionabili più elevate. Come a dire: non è un’anomalia, semmai la diversità siamo noi.
Ma allora perché questo stesso principio non può valere anche per altre strutture del nostro sistema impositivo. Tanto per fare un esempio: l’evasione fiscale. In Italia è una piaga che ci viene presentata quotidianamente come più unica che rara. Vale, a seconda delle stime, tra i 250 e i 270 miliardi. Il 15-16% del Pil. Il che colloca il valore dell’economia sommersa, secondo il Fondo Monetario internazionale) intorno al 27% del Pil. Basterebbe, in un solo anno, ad abbattere il debito pubblico e a riportare il suo rapporto con il Pil dentro a soglie di tranquilla sostenibilità. E nel tempo a seguire farebbe del Paese il «Freccia rossa» d’Europa: altro che locomotiva. Il che, va da sé, non è verosimile. Ma di certo una riduzione importante di questa economia sommersa, oltre che salutare, sarebbe anche equo. Sarebbe sufficiente rientrare nel livello fisiologico del sommerso di Francia (15%) o Germania (16%), senza aspirare a Usa (10%) o Svizzera (9%). Anche perché, a fronte di questi numeri, l’Italia vanta una pressione fiscale e contributiva che tocca ormai il 45% del reddito, contro il 36% della Germania o il 28% degli Usa. Quindi: perché non ci ispiriamo ai migliori non solo per l’età pensionabile, ma anche per l’articolazione del sistema tributario? Possibile che solo da noi ci sia una fetta così larga di evasori?
Naturalmente non si tratta di una passeggiata di salute: occorre una riforma fiscale complessiva, che riequilibri lavoro e capitale, consumi e redditi. Qualche ministro delle Finanze in passato ci ha provato, incontrando sempre due ordini di problemi: il primo di natura politica; il secondo legato alla macchina burocratica dell’Agenzia delle Entrate che, nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni, resta ancora pesante. In questo ambito, visto anche il clima favorevole alle riforme, un governo riformista potrebbe considerare due o tre aspetti che ci differenziano dagli altri Paesi capitalistici.
Per esempio, rispetto agli Usa c’è una differenza semplice ma non banale: gli americani lavorano di più degli europei; una media di 26 ore settimanali a testa contro le 17 degli italiani. Ed è stato dimostrato, come è peraltro intuitivo, che dove si lavora di meno l’incidenza delle imposte (per esempio l’aliquota marginale più alta) è maggiore. Quindi una seria riforma dei modelli contrattuali sarebbe una prima base sulla quale iniziare a ragionare sul riequilibrio delle imposte, andando a toccare anche uno dei moventi che sono alle fondamenta dell’evasione e cioè l’elevata pressione fiscale.
Ma è stando nell’ambito dei redditi e dei consumi che si possono trovare più utili ispirazioni. Nel campo dei redditi catastali, per esempio, in Italia si tendono ad aumentare le imposte sulla base di un catasto centrale che, nonostante i progressi, viene ritenuto un sistema inefficiente. In Germania, per esempio, il sistema federale di tassazione immobiliare permette una mappatura costantemente aggiornata e attualizzata nei valori. Ci pensano gli Enti locali e lo fanno con precisione chirurgica.
Per quanto riguarda il valore aggiunto (la cui tassazione riguarda i consumatori finali, ma serve a ricostruire il reddito sia delle imprese intermediarie, sia di quelle di produzione), è il regime dell’Iva, in Italia, quello che fa acqua da tutte le parti. L’imposta si basa sulla compensazione di acquisto e vendita del bene fino all’ultimo passaggio, quello al consumatore finale. In Francia o in Germania il percorso del valore aggiunto è controllato meglio sia per il maggior peso del ruolo della grande distribuzione (che disincentiva il nero), sia per la più sicura tracciabilità dei flussi finanziari. Questo secondo aspetto, secondo molti esperti, sarebbe fondamentale per limitare il nero nei passaggi intermedi.

In estrema sintesi servirebbe un conto corrente bancario fiscale, da rendere obbligatorio per ogni fattura. Sarebbe la soluzione anche per determinare il reddito d’impresa, che così troverebbe immediata emersione, e limitare l’evasione dell’Iva che, in Italia, è stimata nell’ordine (record) del 50 per cento.

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