Il passaggio generazionale tra promotori finanziari è adesso in svolgimento

Chiediamo a Paolo Martini, responsabile Wealth Management del gruppo Azimut, come è lo stato di salute del mercato del Private Banking in Italia
«C’è bisogno di una scossa decisa. Un’industria che vede, tranne rare eccezioni, tutti i suoi attori insoddisfatti non può avere un futuro sereno: i clienti che non hanno adeguate performance e livelli di servizio in linea con le loro aspettative, i Private Banker che si sentono un numero e non sono ascoltati; infine gli azionisti che non sono contenti dei livelli di rimunerazione del capitale investito, come dimostrano i recenti casi di chiusure di centri private o di fusione tra istituti».
Come mai è così difficile cambiare?
«Quasi tutti i settori industriali o economici sono basati su equilibri consolidati nel tempo. Più lunga è la storia e la dimensione dell’industria in termini di numero dei clienti finali, numero di dipendenti, peso sul Pil, più forti sono le resistenze al cambiamento. Si formano una serie di regole scritte e non scritte e di preconcetti tali per cui si corre solo dentro binari definiti. Questo anche perché tutte le persone che lavorano in quel settore sono cresciute dentro quei confini e, chi decide, ha avuto successo proprio grazie a quel modello. Lo status quo è comodo».
Bisogna quindi rassegnarsi ad assistere a una lenta evoluzione?
«Non è detto. A volte capita che il nuovo avanzi e qualche società riesca a trovare un modo diverso di interpretare un determinato mercato. Cambia le regole, le riscrive e inizia una nuova storia. Questo è successo, solo per citare alcune esempi, con le auto con l'avvento dei giapponesi, con la Apple per i Pc e i telefonini, con la Nespresso per il caffè, con le compagnie aree per il low cost. In tutti questi casi il “sistema” ha provato a resistere, ma presto si è accorto di quanto questo fosse inutile. I binari si erano allargati, le regole erano cambiate. In Azimut Wealth Management siamo convinti di avere tutte le carte in regola per giocare un ruolo deciso per un cambiamento che avvantaggerà i clienti e i Private Banker».
Qual è la vostra idea di Private Banking, come intendete raggiungere l’obiettivo?
«Occorre rifocalizzare in modo deciso i modelli di business. Innanzitutto bisogna ridurre drasticamente i costi fissi e valorizzare maggiormente quelli variabili. Chiunque svolga un’attività commerciale sui clienti farebbe bene a rivedere il suo approccio contrattuale e valorizzare le sue capacità nel generare ricavi per il suo istituto e performance per i clienti. Libero professionista o dipendente, chi svolge un’attività ed è bravo deve essere capace di mantenere e far crescere il proprio portafoglio. Chi non riesce a produrre risultati, non ha molto futuro e questo vale per tutti, anche per i dipendenti. I bravi Private Banker hanno decisamente maggiore interesse a operare in un contesto imprenditoriale che ne valorizzi in modo deciso anche i ricavi. Nei prossimi anni vedremo, quindi, crescere la presa di coscienza da parte di professionisti capaci che si stancheranno di mantenere strutture spesso mastodontiche. Azimut Wealth Management è la risposta a questa esigenza come dimostrano i numerosi recenti ingressi».
Quali sono i problemi dell’industria dal vostro punto di vista?
«Solo per citare alcuni esempi ci sono, spesso, troppi capi e strutture complesse che pretendono di controllare il lavoro di chi segue i clienti e quindi crea valore. Un bravo Private Banker passa oggi circa il 30% del suo tempo a compilare file excel, invece di occuparsi della relazione con i clienti e sviluppare le sue competenze. Come detto serve un modello di remunerazione diverso che premi in modo deciso i migliori professionisti e non sperperi risorse. In troppi casi si trovano invece persone di qualità, che gestiscono bene i clienti in mezzo a tante difficoltà, che non sono adeguatamente remunerate, rispetto al valore che portano alla loro banche. Serve chiarezza tra ruolo di consulente e ruolo di gestore e occorre dedicare meno tempo davanti allo schermo del computer e più ai clienti. Le strutture, inoltre, devono essere al servizio dei private banker. Non deve accadere il contrario.

Lo spettro delle competenze si deve allargare in misura sempre maggiore, nei fatti non solo nelle brochure, anche a temi quali l’impresa, il passaggio generazionale, la protezione degli asset, il private insurance e temi di consulenza legale. Devo continuare?».

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