Paura in Israele, Sharon gravissimo in ospedale

Si è sentito male nel suo ranch e ha chiesto di essere subito soccorso

Gian Micalessin

Ariel Sharon questa volta potrebbe non farcela. Il secondo ictus l'ha colpito ieri sera. Il secondo in tre settimane. Forse quello fatale. Il 77enne primo ministro israeliano, dicono i medici, ha sofferto di una profonda emorragia cerebrale. I sanitari hanno tentato una disperata operazione prolungatasi per molte ore, ma le speranze sono al lumicino. Gli stessi sanitari, gli stessi consiglieri fanno capire che stavolta non bisogna farsi troppe illusioni su un possibile recupero. La diagnosi parla chiaro. Stavolta non dice leggero ictus, dice «ictus significativo». Come dire fatale. Per capirlo, per averne conferma, basta scorrere il comunicato della Casa Bianca. «I nostri pensieri e le nostre preghiere sono per Ariel Sharon e la sua famiglia», scrivono il presidente americano George W Bush e il suo staff. Insomma sembrano già le condoglianze. Ed è triste dirlo, ma nessuno neppure in Israele sembra nutrire più tante speranze.
Tutto inizia verso le 22, ora israeliana. Tutto sembra una replica di quanto già successo il 18 dicembre, la domenica del primo leggero ictus. Questa volta pare anche meno grave. Arik è nel suo ranch di Sycamore, nel deserto del Negev, a pochi chilometri dalla Striscia di Gaza. Questa volta non si è ingozzato di cibo come tre settimane fa. È a dieta. Attende l'operazione al cuore prevista per questa mattina, l'intervento di by pass deciso dopo le analisi di tre settimane fa quando i medici gli diagnosticarono una malformazione cardiaca, che potrebbe in qualche modo aver favorito il precedente ictus.
Ma attorno alle 22 Arik si accorge che il nemico sta tornando. Il petto gli si gonfia. Sente il cuore scoppiargli. Percepisce la stessa pressione al torace di tre settimane fa. Questa volta non fa in tempo a perdere i sensi. Questa volta chiama i figli Gilad e Omri, chiede un ambulanza, vuole arrivare quanto prima dai suoi medici. Ma è lucido, perfettamente lucido. Così tranquillo da prendere il telefono e chiamare i suoi collaboratori mentre gli infermieri lo sdraiano sulla barella e lo infilano nell'ambulanza. È lucido, ma non consapevole della disperata ferocia del male. Nel suo cervello si è aperta una cataratta. I medici la chiamano emorragia intercranica. Un'emorragia massiccia. Un'emorragia, come precisa un sanitario senza nome, da cui qualcuno anche si riprende, ma dalla quale generalmente «non sono molte le possibilità di pieno recupero». Come dire: sopravvivere è difficile, tornare normali quasi impossibile. Non a caso il vice primo ministro Ehud Olmert, secondo quanto riferito dal segretario di gabinetto Ysrael Maimon, ha già assunto le funzioni di primo ministro.
Il dottor Shlomo Mor Yosef, il direttore dell'ospedale Hadassah di Gerusalemme, conferma a tarda notte l’«ictus significativo» e aggiunge che il primo ministro «è sotto anestesia e sta ricevendo assistenza respiratoria».
Ma in queste ore non è a rischio solo la vita di Sharon. Sotto i ferri dei chirurghi riposa non un semplice paziente, ma il futuro dell'intero Paese e del Medio Oriente. Negli ultimi due anni il generale bulldozer ha ridisegnato lo scacchiere del processo di pace e rivoluzionato il panorama politico israeliano. Senza di lui il nuovo partito Kadima, nato e cresciuto dopo l’uscita dell’ex generale dal Likud, è una corazzata senza capitano e senza motori. Ma da Kadima e da Sharon dipendevano l'assetto politico dell'intero Paese.
Mancano poco più di 80 giorni alle elezioni e chi è uscito dal Likud o dai laburisti per seguire Arik non può più tornare indietro. Ma senza Sharon non può andare da nessuna parte. L'unico vero direttore d'orchestra era lui e come tale aveva occupato il centro dello schieramento politico. Il resto degli orchestrali s'era accomodato all'estrema destra e all'estrema sinistra. Con lui alla testa di Kadima il Likud e i laburisti sono diventate le parodie oltranziste di se stessi. E 80 giorni non bastano per ritrovare la moderazione che Sharon s'era imposta. Voleva la pace per la gloria, ma potrebbe non aver il tempo per ottenerla. In cambio gli altri senza di lui rischiano di non aver la lucidità per reggere il Paese.
Al di fuori dai confini d'Israele una prematura dipartita di del primo ministro rischia di lasciare il caos. Per assurdo i palestinesi rischiano di pagarne le conseguenze più rilevanti. Solo il carisma e l'esperienza di Sharon potevano convincere l'opinione pubblica israeliana ad accettare la nascita di uno Stato palestinese senza nessuno ai suoi vertici in grado di reggerlo e in grado di offrire garanzie accettabili. Per assurdo il peggior nemico dei palestinesi era diventato il miglior garante per la nascita di uno Stato indipendente.

Una sua dipartita potrebbe rimandare di molti anni le speranze di pace e la nascita di questo Stato. Stamattina forse già sapremo la sua sorte. Vivo o morto che sia questa notte avrà lasciato un segno e una paura indelebili.

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