Piazza Affari resta piccola ma batte i Bot

Brilla il segmento Star, il Nuovo Mercato è ancora la maglia nera

Massimo Restelli

da Milano

«Il Boom» di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini: c’è qualcosa degli anni ’60 nella pellicola trasmessa sugli schermi di Piazza Affari che, se tra il 2004 e lo scorso giugno ha visto lievitare le quotazioni (più 25,7% la media), rimane incollata ai valori del “Miracolo Economico” almeno per quanto riguarda il rapporto tra capitalizzazione e Pil (salito dal 38,2% al 43,9%). Un valore ben lontano dal 70% del 2000 e tra i big europei superiore solamente alla Germania (42,4%), che rappresenta quella Borsa in «miniatura» fotografata ieri da Mediobanca nell’ultima edizione di «Indici e Dati relativi a investimenti in titoli quotati».
Un volume di 810 pagine, la prima edizione dello studio risale al 1947, dove la squadra di analisti guidata da Fulvio Coltorti ha disegnato un mercato generoso come dividendi e in grado di surclassare i Btp negli ultimi 20 anni con un rendimento di 12,5 punti superiore: 21,4% contro l’8,9%.
Complice la spinta del settore energetico e l’onda speculativa cresciuta intorno a Rcs, i più brillanti come quotazione sono stati i gruppi industriali (più 28,5%) mentre il settore bancario (più 21%) e gli assicurativi (18,2%) sono rimasti indietro. Bene le azioni senza diritto di voto (più 36,1%) e il segmento Star (più 43,8%), le cui dimensioni rimangono limitate rispetto al listino, mentre il bilancio è stato negativo per il Nuovo Mercato.
Il comparto energetico ha permesso alle quotazioni di sganciarsi dalla debole congiuntura economica ma l’effetto traino non ha evitato che Piazza Affari scivolasse al dodicesimo posto nel mondo dopo l’Australia (594 miliardi di capitalizzazione a fronte di 300 miliardi il capitale netto) con un saldo nullo tra matricole e addii tra le società quotate sia nel 2004 sia nella prima parte di quest’anno.
Se i prezzi gonfiano il listino a scarseggiare sembra essere il materiale da proporre agli investitori anche per la prevalenza delle Pmi sul territorio nazionale e l’esaurirsi della stagione delle privatizzazioni: Generali (31,8 miliardi di capitalizzazione a fine 2004) è la società meglio posizionata tra i big in Europa spuntando il quarto posto dopo Ing, Allianz e Axa (Eni è al decimo posto ed Enel al ventesimo) mentre Unicredit sarà nona dopo la fusione con la tedesca Hvb.
Ambivalente è anche la fotografia dal punto di vista del rapporto delle società con gli azionisti: il settore manifatturiero, complice il buon andamento di Borsa, ha in generale chiesto liquidità (a giugno 2005 la Borsa ha firmato aumenti di capitale per complessivi 4,5 miliardi, il 70% in più all’intero 2004; per avere un valore simile bisogna tornare al 2003). Dall’altro lato c’è l’energetico pronto a staccare la cedola, in Borsa il monte dividendi ha complessivamente registrato il massimo storico di 22,7 miliardi con Enel (4,22 miliardi) ed Eni (3,38 miliardi) tra le più generose cui si sono aggiunte Tim (2,4 miliardi) e Telecom (1,9 miliardi).

Boom dell’energia che ha aiutato Erg a comparire tra le migliori per rendimento al netto dei dividendi a conferma di una tendenza che nei 18 mesi ha registrato 279 realtà in positivo a fronte di 70 in perdita (nel Nuovo Mercato solo 17 su 39 superano l’unità): dal 2004 a giugno le azioni migliori sono state Rcs Capitalia e Gemina (più 60%). Profittabilità che non manca neppure per Borsa Spa che ha visto un Roe del 12,6% secondo solamente a Londra (32,9 per cento).

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