«Piazza Duomo piena di alberi sia solo l’inizio»

«Milano? È una città che offre molto: smettiamo di criticarla». Forse non ci vivrebbe tutto l’anno, abituato a dividersi tra Roma, dove è nato, e i comuni di Cortina e Valdagno, dove è cresciuto e tuttora si rifugia nel tempo libero. Ma Matteo Marzotto, manager di successo e scapolo ambitissimo, proprio non sa rinunciare alla sua Milano, «dal fascino operoso e discreto», come la definisce lui. Così, tra un impegno di lavoro (è presidente di Enit, l’Agenzia Nazionale del Turismo, di Mittelmoda e di Vionnet) e una serata mondana (legata alla Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica, di cui è vicepresidente) ha trovato il tempo per tornare in città a promuovere la sua autobiografia: «Volare Alto» (Mondadori). La presenta domani, alle 18, alla Mondadori di piazza Duomo. Venti capitoli nei quali ha infilato di tutto: gli anni al vertice della maison Valentino, l’impegno nel sociale, ma anche cinque Parigi-Dakar, la passione per il ciclismo e per il volo, e un fidanzamento (forse più faticoso dello sport) con Naomi Campbell.
Non è un po’ presto per un’autobiografia?
«Più che un’autobiografia è lo specchio di un quarantenne che riflette sul mondo. Parlo delle mie esperienze, e di quelle che purtroppo mi mancano, come creare una famiglia. E racconto dei miei hobby: la moto, la bicicletta, il volo in elicottero, lo sci di fondo».
Lei che ama gli sport all’aria aperta, come si trova a Milano, dove il verde scarseggia e lo smog è alle stelle?
«Sono cresciuto in provincia, e tuttora preferisco i piccoli comuni alle metropoli. Ma Milano è la città dove lavoro e ho la mia seconda casa: mi piace così, e non capisco chi la critica. Non dimentichiamoci che è la capitale del business e della finanza, e solo per questo attira migliaia di turisti all’anno. Per correre ci sono i parchi di San Siro, Sempione o via Palestro, dove vado spesso.Non è molto, ma per realizzarne altri bisognerebbe buttar giù due isolati».
Oppure si può piantumare un bosco in piazza Duomo, Renzo Piano insegna...
«Sarebbe un segnale importante. Una volta le piazze erano sgombere perché all’esterno era tutta campagna, il verde non mancava. Oggi è il cemento ad espandersi e occorre mettere un freno. Quindi bene il bosco in Duomo, purché serva da esempio».
Milano significa moda, design, arte, architettura. Lei su cosa punterebbe per la sua valorizzazione?
«Milano ha già la settimana della moda e il Salone del mobile. Credo debba osare di più, essere più internazionale: proporre grandi spettacoli teatrali, anche contemporanei, ed eventi culturali di livello europeo. Io punterei su un museo della moda o una fiera internazionale del libro».
E dall’Expo cosa si aspetta?
«Sono fiducioso».
Nel suo libro fa un bilancio del made in Italy con qualche scetticismo. I nostri prodotti hanno perso appeal?
«Non dico questo, ma è stata una follia non tutelarlo con le dovute leggi.

In passato è stato usato in modo improprio, in contesti sbagliati e per prodotti non all’altezza. Ci voleva una normativa più severa, come mi auguro avverrà in futuro grazie al decreto Versace. Il made in Italy è un patrimonio da proteggere».

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