Una pistola per amica in un mondo orwelliano

In una società orwelliana, guerra è (missione di) pace. Lo è talmente da tempo che la metafora di Dear Wendy («Cara Wendy», nomignolo d’una pistola), diretto da Thomas Vinterberg e scritto da Lars von Trier, appare banale. Con Manderlay, von Trier ha mostrato come sa essere tuttora corrosivo; con Festen (1998), Vinterberg aveva mostrato di non scherzare nemmeno lui. Insieme però i due finiscono quasi con l’elidersi: nata col «Dogma», la loro collaborazione prosegue violandone ormai le consegne. Ricostruire una cittadina mineraria degli Appalacchi appena fuori Copenhagen non è «dogmatico»; né lo è opporre l’inglese Jamie Bell, piccolo ballerino di Billy Elliott, all’americano Bill Pullman, per i loro accenti diversi, almeno nella versione originale. Con la sua ostentata artificiosità, Dear Wendy rammenta più Fight Club che L’arma di Squitieri o Il giocattolo di Montaldo, film italiani sul fascino della pistola.

E se Dear Wendy è esteticamente corretto e politicamente scorretto, troppo dettagliato è il formarsi della psicologia dei personaggi, perdenti decisi a vincere. Ma contro chi? E si giunge provati alla fine, prevedibile.


DEAR WENDY (Danimarca, 2005) di Thomas Vinterberg con Jamie Bell, Bill Pullman. 101 minuti

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