Da quando è salito al potere ha profondamente cambiato la vita dei turchi: ha introdotto il velo islamico in una Repubblica nata orgogliosamente laica; ha migliorato le condizioni delle classi più disagiate dando loro più lavoro e meno spese sanitarie. Amato più nell'interno del Paese che sulle coste, il presidente della Turchia, l'islamico-moderato Recep Tayipp Erdogan è un politico molto popolare. Il suo consenso è il frutto di una potente crescita economica unita all'uso del guanto di ferro. Nel giro di pochi anni, Erdogan ha disperso con gli idranti i dimostranti di Gezi Park e i famigliari degli oltre 300 minatori di uno dei peggiori disastri minerari dei tempi moderni; ha insabbiato gli scandali corruzione che lo hanno toccato anche da vicino; ha stretto rapporti di ferro con Obama rompendo invece con la maggiore parte dei Paesi vicini; non ultimo, ha messo un freno alla libertà di stampa sbattendo molti giornalisti in galera. L'ultima elezione, quella che avrebbe dovuto permettergli di trasformare la Turchia in un regime presidenziale gli ha invece portato male. L'Akp, il suo partito, non ha vinto abbastanza. Lontanissimo dai due terzi dei seggi necessari per cambiare la Costituzione, Giustizia e Sviluppo ha ottenuto «solo» il 41% dei consensi e un'ampia maggioranza relativa, insufficiente per governare.
La Borsa di Istanbul e la lira turca hanno reagito male, perdendo ciascuna il 5%. Ai mercati l'instabilità non piace ma il futuro politico della Turchia è tutto da capire. In molti in Occidente hanno tirato un sospiro di sollievo per lo stop dato dai turchi alla cavalcata inarrestabile di un ex primo ministro, diventato presidente e pronto a diventare sultano. Allo stesso tempo i più pessimisti hanno visto nel segnale democratico arrivato dalle urne un rischio per la stessa democrazia turca, immaginando un Erdogan ferito e offeso nell'imminenza di prendere il potere desiderato anche con la forza. «Nella Turchia moderna un colpo di stato come quelli commessi in passato dai militari è ormai impossibile, sarebbe il caos». Al telefono con il Giornale dall'hinterland di Francoforte, il vicepresidente della Kurdische Gemeinde Deutschland (la comunità curda di Germania), Mehmet Tanrivedi, commenta il risultato elettorale. A spezzare l'incantesimo di Erdogan è stato l'Hdp, il Partito popolare democratico turco, apertamente filo-curdo. Abbattuta la soglia-monstre del 10%, l'Hdp è entrato in Parlamento a gamba tesa con 80 deputati. «Prima c'erano solo 30 deputati curdi, tutti indipendenti; adesso il popolo curdo ha la sua chiara rappresentanza politica». Tanrivedi è soddisfatto: «Il progetto autoritario è stato fermato dal partito dei curdi, votato, novità assoluta, anche da molti nazionalisti turchi. Sono anche contento che fra i deputati dell'Hdp ci siano alcune persone nate e cresciute in Germania, con doppia nazionalità», un'ulteriore garanzia democratica per la Turchia moderna. Secondo il rappresentante curdo, la più probabile via di uscita per Erdogan sarà quella del ricorso fra 45 giorni a nuove elezioni. «Improbabile un'alleanza con i nazionalisti laici del Chp, espressione del vecchio potere militare esautorato dal leader islamico moderato all'inizio della sua carriera politica. Convergenze, invece, ci potrebbero essere con i “lupi grigi” dell'Mhp che, come e più di Erdogan, sono nazionalisti e pro-islam. Quest'alleanza metterebbe però in pericolo la democrazia in Turchia e in allarme Europa e Nato. Se Erdogan si farà furbo - continua Tanriverdi - chiederà i voti all'Hdp. In cambio i curdi chiederanno una vera autonomia linguistica e la concessione di più poteri ai sindaci turchi, oggi legati a doppio filo ai voleri del governo.
Alleandosi con l'Hdp, Erdogan potrebbe continuare l'espansione economica, avvicinarsi all'Europa e trovare facile soluzione alla divisione di Cipro. Oggi è troppo presto per capire se lo farà. L'opzione nuove elezioni resta per adesso la più probabile. Più chiarezza arriverà fra un mese, non prima».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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