Il demone dell'Occidente è rinnegare se stesso: per paura, per avidità, per senso di colpa o per nostalgia. È storia antica. Cosa accade se gli ateniesi finiscono per tifare gli spartani? È un vizio che ritorna sempre. A New York, a Londra, a Parigi, a Berlino, a Milano si respira anche adesso questa disillusione, questa puzza di marcio di un mondo andato a male. Sembra di stare alla fine di un tempo, con la civiltà dove sei nato e cresciuto che giorno dopo giorno si sfarina, ripudiata e messa alla gogna. Non c'è un pilastro che tenga. Il capitalismo è una bestemmia, la libertà un'illusione, la nostra storia tutta da riscrivere, perché in fin dei conti siamo tutti assassini, figli, nipoti e pronipoti di una schiatta di cui puoi solo vergognarti. Ci sarebbe poi la democrazia, vecchia baldracca. È inutile nasconderlo, proprio chi dovrebbe tenerci di più, quelli che si battono il petto ogni volta che la nominano, poi si lamentano della bestialità degli elettori e si sottomettono al voto con la stessa allegria di chi si toglie un dente. La democrazia occidentale non piace agli uomini di affari, ai maghi della finanza, ai padroni della rete, ai maestri del pensiero, ai qualunquisti e ai puritani, indispettisce filosofi e scienziati e magari sta sul cavolo perfino al popolo. Ti chiedi quanti siano in fondo davvero innamorati di questa benedetta democrazia e se c'è ancora qualcuno in giro disposto a non barattare un grammo di sicurezza per un chilo di libertà. La realtà è che la «liberaldemocrazia» è un'anomalia, fragile, e viene tradita tutti i santi giorni, a partire dalle élites. Tutti convinti che fuori ci sia un mondo migliore. Fuori e non dentro, lavorando passo dopo passo per cambiarlo. Fuori o lassù, dove riposano le utopie.
Allora adesso andiamo a guardarla in faccia questa alternativa. È Vladimir Putin che fissa i confini della grande madre Russia. È Xi Jinping che aspetta l'ora opportuna per sradicare da Taiwan ogni illusione di una Cina diversa. È l'azzardo di chi è disposto a pagare il prezzo più alto per dare un senso alla propria storia. Tutti e due ormai disprezzano apertamente la nostra visione del mondo. Ne percepiscono la debolezza. Siamo stati proprio noi, con le nostre parole, a raccontarne la meschinità. Pechino e Mosca ne stanno semplicemente prendendo atto. Fanno il loro gioco, convinti che la fortuna, e il corso della storia, stia girando dalla loro parte. C'è stato un tempo in cui l'Occidente parlava di esportare il proprio modello in ogni angolo del globo.
Non è stato saggio e forse anche parecchio ipocrita. Ora dobbiamo riscoprire dentro di noi libertà e democrazia. È chiaro che le stiamo perdendo e siamo tornati a chiederci se si può «morire per Danzica». Ma prima Atene dovrà riconoscere Atene.
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