Il timer della super «bomba» che ha devastato la capitale libanese ha iniziato a ticchettare sei anni fa. Il 20 novembre 2013 il mercantile Rhosus, che batte bandiera moldava, si ferma per problemi tecnici a Beirut. A bordo ha un carico di 2.750 tonnellate di nitrato d'ammonio, che dopo la partenza dalla Georgia doveva arrivare a Beira, in Mozambico. L'armatore è il russo Igor Grechushkin, che vive a Cipro, ma la sua società è sull'orlo della bancarotta. L'equipaggio non riceve più la paga e il comandate, Boris Prokoshev, mette in guardia sul pericolo del carico. Il nitrato di ammonio serviva al Mozambico come fertilizzante per l'agricoltura, ma i terroristi lo utilizzano per imbottire le macchine minate.
Gli attentati più famosi con il nitrato d'ammonio sono quelli di Oklahoma City e di Nassirya, la strage jihadista più grave contro le truppe italiane. Un giornale russo titola nel 2014: «L'equipaggio della Rhosus ostaggio a bordo di una bomba galleggiante». In settembre le autorità libanesi sequestrano il carico stoccandolo nel magazzino 12 del porto di Beirut, poco distante dal centro dei negozi di moda della città e dal quartiere cristiano di Achrafieh colpiti dall'esplosione.
Per sei volte i responsabili della dogana scrivono alla magistratura chiedendo di spostare il nitrato d'ammonio. «Alla luce del grave pericolo legato allo stoccaggio di queste merci nel deposito in condizioni climatiche inadatte riaffermiamo la nostra richiesta di chiedere all'agenzia marittima di riesportare immediatamente tali merci per preservare la sicurezza del porto e di coloro che vi lavorano» è il testo di una lettera del 2016, che come le altre non ottiene l'autorizzazione. Ieri tutti i funzionari portuali coinvolti sono stati messi agli arresti domiciliari a seguito delle indagini in corso.
Le 2.750 tonnellate di nitrato d'ammonio sono contenute in sacchi stoccati uno sull'altro nel magazzino 12. Il fertilizzante, però, non salta in aria da solo. Può essere innescato da un detonatore o da un aumento della temperatura provocata da un incendio. Accanto o nel magazzino con la «bomba a orologeria» abbandonata ci sarebbe stato un deposito di fuochi d'artificio. I video del disastro mostrano una prima esplosione con una colonna di fumo biancastro e fiammate alla base, che indicherebbero i botti che saltano in aria. Poi arriva l'esplosione devastante, che rade al suolo il porto con una vampata rossastra. L'onda d'urto colpisce in pieno la città. «Non credo assolutamente all'esplosione di 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio. Credo sia stato un deposito di armamenti» sostiene l'esperto Danilo Coppe. In molti concordano che il fertilizzante avrebbe dovuto sviluppare un bagliore giallo e non rossastro.
L'ipotesi è che in quella zona del porto ci fosse anche un'arsenale di Hezbollah o esplosivi catturati dall'esercito in recenti operazioni contro gruppi jihadisti. Nella capitale libanese sono atterrati due C 130 italiani con aiuti sanitari, vigili del fuoco e quattro specialisti del 7° reggimento Nbcr Cremona (Nucleare, Biologico, Chimico e Radiologico) di Civitavecchia.
Il personale militare entrerà subito in azione al fianco dell'esercito libanese, che ha assunto il comando delle operazioni. Anche i militari italiani del genio del contingente Onu in Libano potrebbero dare una mano sul luogo del disastro cercando pure di fare chiarezza su cosa sia realmente accaduto.
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