Se alle elezioni francesi approdano le «Quote Islam». Non è uno stralcio del libro che l'Intraprendente.it mette giustamente in ballo - «Sottomissione» (Bompiani) di Michel Houellebecq: la Francia del 2022, nella fantasia di questo scrittore, è sotto l'egida di un partito islamico che ha introdotto la sharìa nella società francese. Ma questa non è neanche più fantapolitica, a giudicare dagli schieramenti che si presenteranno alle urne in Francia: il Front National, i Repubblicani (di Sarkozy), il Partito Socialista (con a capo Hollande) e, infine, il Partito musulmano del marocchino Nagib Azergui. L'Udmf (Unione des Démocrats Musulmans de France), lo schieramento fondato da Azergui nel 2012 (con 900 iscritti e 8mila simpatizzanti) comparirà nel dipartimento regionale dell'Ile-de-France: dipartimento cui fa capo Parigi, alla tornata elettorale del prossimo 6 e 13 dicembre. Per la prima volta, L'Udmf è riuscito a varcare la soglia delle 200 firme necessarie per presentare la propria lista a un turno di elezioni su scala regionale. Serpeggiano, abbondanti, le perplessità su quanto il programma del partito islamico sia compatibile non solo con le abitudini, le preferenze culturali, la vita quotidiana del popolo francese: ma anche con le sue norme, con la vera e propria legge di Stato. L'Udmf, difatti, propone l'autorizzazione a indossare il velo ovunque, incluso nelle scuole, che attualmente lo proibiscono. E patriottici scossoni si profilano anche nel settore alimentare: proposta è la vendita di cibo halal (ossequioso delle prescrizioni islamiche). Si passerebbe poi all'insegnamento dell'arabo lungo tutta la carriera scolastica. E certo non si sono dimenticati delle moschee: il cofondatore del partito Emir Megharbi, infatti, ha ribadito in un'intervista che 2.200 moschee in Francia non sono sufficienti. Infine, l'Udmf intende favorire l'ingresso in Europa della Turchia. Culture che hanno il diritto, e spesso il piacere, di intrecciarsi: di comporre fisiologie nuove e più interessanti, anche a forza di smussamenti e di pacifiche integrazioni. Ma una fetta di occidente purosangue quale la Francia, la Francia della Ville Lumière, la Francia della rivoluzione, quella Francia cosmopolita eppure sempre inconfondibile, potrebbe tollerare le restrizioni di una cultura (anche e soprattutto religiosa) che non le appartiene? Dai veli (che, ricordiamo, ammantano lineamenti e personalità, spesso rendendo chi li indossa irriconoscibili) che dilagherebbero nelle città, alla parziale ma quanto parziale? trasformazione di scaffali del supermercato e tavoli del ristorante; fino a modificare gli ambienti scolastici, e a permeare con l'influsso islamico strade e architettura. Invadendo profondamente un'identità occidentale che ha lottato e sfoggiato ogni sua singola ruga, ogni suo orgoglioso smottamento e ogni piccola-grande rivincita, a forza di battaglie per i diritti civili e per un concetto di libertà che ha fatto scuola nel mondo. Libertà che per i francesi vuol dire anche laicità. Concetto che non sembra affatto nelle corde dell'Islam e delle sue genti. Tantomeno dei suoi vertici. I simboli religiosi non fanno parte della vita sociale francese. Un cittadino islamico li indossa, li lascia crescere sul viso, se ne circonda: accade quando si porta il velo.
Dunque, figli della cultura occidentale quanto lo sono i francesi, nelle scuole non vedrebbero un crocifisso, ma di tratti identificativi dell'Islam si riempirebbero gli occhi. Paradossi. Voltafaccia tristi di una storia millenaria. Perché «laico» significa «laico»: non qualunque religioso non sia un cristiano. Soprattutto in una casa piena di cristiani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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