L'eco delle esplosioni parigine supera le Alpi e arriva, forte, anche in Italia. L'allarme c'è, ed è altissimo. Tanto che il comitato per l'ordine e la sicurezza riunito al Viminale (e presieduto dal premier, Matteo Renzi) decide di innalzare l'allerta al secondo livello. Più in alto di così si va solo in caso di guerra o di attacco in corso. Il giorno dopo la brutale serie di attentati che hanno insanguinato Parigi, e mentre sui social rimbalzano inquietanti minacce rivolte contro Roma dai fondamentalisti, Angelino Alfano mobilita anche l'esercito. Settecento soldati sono già stati chiamati a presidiare la Capitale, in anticipo sul contingente già previsto dal dispositivo di sicurezza messo a punto per l'imminente Giubileo (e che verrà ritoccato alla luce dei nuovi rischi). Ed è anche contemplata «la possibilità di coinvolgimento delle forze dei corpi speciali dell'esercito», ha spiegato il titolare del Viminale, aggiungendo che i reparti speciali di polizia e carabinieri, Nocs e Gis, sono in «assetto operativo» già da ieri.Ma la stretta «straordinaria» ai controlli sul territorio, e i rinforzi alle frontiere (soprattutto quelle con la Francia, per intercettare eventuali attentatori in fuga dopo la strage di venerdì 13), nei porti e negli aeroporti, non garantiscono la sicurezza assoluta. Il perché è nella terribile scaletta degli eventi nella capitale transalpina, due sere fa. Quando i terroristi dell'Isis hanno scelto di colpire obiettivi simbolici, certo, ma «imprevedibili», fa notare Alfano. E dunque, al netto della «blindatura» dei luoghi «maggiormente sensibili» - la cui individuazione aggiornata viene delegata ai comitati provinciali e ai prefetti - a cominciare dal Papa (simbolo a cui spesso il Califfato ha fatto riferimento), e al di là dell'aumento anche quantitativo di forze dell'ordine e soldati schierati in campo per proteggere il Paese, il resto del compito spetta alla prevenzione.
Ecco allora la «intensificazione del monitoraggio interno delle carceri», per tentare, grazie a polizia penitenziaria e ai mediatori culturali di lingua araba, di intercettare (e spegnere) i focolai di radicalizzazione dietro le sbarre.In strada, nelle città, toccherà poi al lavoro di presidio del territorio delle forze dell'ordine e a quello di intelligence dei servizi e dell'antiterrorismo cercare di arginare eventuali propositi ostili degli aspiranti jihadisti, setacciando luoghi di culto e associazioni «inclini» all'integralismo, monitorando i soggetti più a rischio, tenendo d'occhio eventuali foreign fighters «nostrani» di ritorno. E continuando le attività di indagine, dal web ai pedinamenti, per scoprire cellule attive in Italia, come quella smantellata appena tre giorni fa a Merano, con ramificazioni in mezza Europa. Nel 2015, ha ricordato Alfano, questo lavoro ha portato finora a espellere 55 estremisti islamici, a perquisire le case di 540 persone sospettate di contiguità col terrorismo, a 56mila controlli individuali, 325 indagati, 147 arresti.Fin qui i numeri e la pianificazione strategica. Poi c'è solo da tenere le dita incrociate perché, come ammette Alfano, «lo sforzo di prevenzione messo in campo può ridurre i rischi, ma non eliminarli con certezza». Troppe variabili come l'evidenza, sottolineata dagli esperti di antiterrorismo, che non sempre gli attentati rivelano un'accurata preparazione militare come a Parigi. Molti dei giovani islamici che si radicalizzano, anche in Italia, lo fanno da soli.
Documentandosi con la propaganda sul web, imparando a costruire armi ed esplosivi, prendendo contatti con organizzazioni terroristiche e trasformandosi via via in cani sciolti del jihad, senza uscire di casa. Quasi invisibili, ma pronti a colpire senza preavviso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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