Il Nord ha scaricato Renzi

Il flop di Renzi in Liguria e Veneto: lasciati per strada 37 punti rispetto alle Europee 2014. Alla leadership di Salvini, Berlusconi può contrapporre solo una consultazione dal basso

Il Nord ha scaricato Renzi

Quella che doveva essere l'inarrestabile cavalcata renziana si ferma inaspettatamente al Nord. Non solo per il risultato di Liguria e Veneto, ma perché in queste Regioni a perdere malamente sono due candidati fortemente voluti da Matteo Renzi: Raffaella Paita e Alessandra Moretti. Con numeri che - per quanto il paragone sia tecnicamente improprio - vedono un Pd in caduta libera: rispetto alle Europee dello scorso anno -16,1% in Liguria e -20,9 in Veneto.

Sul fronte settentrionale, insomma, per il premier è una vera e propria disfatta. Numerica, perché le cifre sono impietose, ma soprattutto politica. A essere messe sotto accusa, infatti, sono le scelte fatte dal leader del Pd. Che in Liguria ha sostenuto Paita nonostante le polemiche delle primarie e le ripetute richieste di individuare un altro candidato da parte della sinistra Pd. È finita che ha vinto Giovanni Toti, con un margine così ampio da far riflettere, visto che l'eurodeputato di Forza Italia ha distanziato l'esponente dem di quasi sette punti. Un abisso. Stesso ragionamento in Veneto, dove la vittoria di Luca Zaia non è certo una sorpresa. A differenza della distanza abissale che separa il riconfermato governatore della Lega dalla sua sfidante: 27,3 punti, con la Moretti che non è arrivata neanche al 23% dei consensi.

Difficile, insomma, non leggere queste due sconfitte come la prima vera battuta d'arresto del renzismo. Soprattutto dopo aver dato uno sguardo ai consensi del Pd. Paragonare il voto regionale di oggi con quello delle Europee del 2014 non è facile, soprattutto perché nel primo caso ci sono diverse liste civiche che vanno necessariamente ad assorbire voti ai partiti più grandi. Ma anche volendo mettere insieme Pd e civiche a sostegno di Paita e Moretti, il saldo è decisamente negativo: in Liguria Paita fa il 27,8% mentre lo scorso anno il solo Pd era al 41,7 (-13,9%); in Veneto Moretti si ferma al 22,7% contro il solo Pd che nel 2014 era al 37,5 (-14,8%). Se invece si considera il saldo netto del Pd (escludendo le liste civiche) i numeri sono ancora più implacabili: -16,1% in Liguria e -20,9 in Veneto.

Con buona pace dello storytelling di Palazzo Chigi che vuole Renzi in allegra e spensierata attesa dei risultati davanti a una playstation con Matteo Orfini, il segnale che arriva dal Nord del Paese è di quelli che non passeranno inosservati. Anche perché i due candidati che in qualche modo riequilibrano la tornata amministrativa a favore del Pd - e dunque del suo leader - sono Vincenzo De Luca in Campania e Michele Emiliano in Puglia. Due anti renziani.

Spostandosi sul fronte opposto, invece, il risultato che è destinato a cambiare gli equilibri interni al centrodestra è l'affermazione di una Lega che cresce in tutto il Centro Nord. Nelle cinque regioni in cui il Carroccio si è presentato il confronto con gli azzurri è implacabile: in Veneto 17,8% della Lega contro 5,9 di Forza Italia; in Liguria 20,2 contro 12,6; in Toscana 16,1 contro 8,4; in Umbria 13,9 contro 8,5; nelle Marche 13 contro 9,4. Inutile dire che, numeri alla mano, Matteo Salvini si candida a essere il futuro leader di una nuova coalizione di centrodestra.

L'obiezione che gli fanno in molti è che il segretario della Lega sostiene posizioni che spaventano l'elettorato moderato e comunque non rappresenta tutto il Paese, tanto che in Campania il Carroccio non si è presentato e in Puglia la lista Noi con Salvini non va oltre il 2,2%. Tutto vero, anche se il risultato di questa tornata amministrativa è ormai agli atti e per mettere in dubbio la leadership di Salvini non restano che eventuali consultazioni primarie del centrodestra. Se Silvio Berlusconi riuscisse a riunire sotto una sola bandiera tutta l'area moderata centrista (da Corrado Passera a Raffaele Fitto, passando per Flavio Tosi e Angelino Alfano) allora porterebbe ancora una volta portare a casa la golden share del centrodestra.

Anche perché, la lezione che arriva da queste elezioni di midterm è che il centrodestra unito - come in Liguria o in Umbria – o vince o comunque se la gioca fino alla fine.

Non un dettaglio, in vista delle prossime politiche - che siano nel 2018 come da scadenza naturale della legislatura o anche prima - visto che l'Italicum prevede il ballottaggio tra le due liste più votate. Saranno Pd da una parte e centrodestra dall'altra, se l'area moderata riuscirà a trovare una sintesi. Altrimenti la sfida rischia di essere tra Pd e Movimento Cinque Stelle.

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