Matteo Renzi interpreta il proprio ruolo di capo del governo come Samuel Huntington lo ha descritto in Political Order in Changing Societies , 1968 (tradotto in italiano per i tipi di Rubbettino col titolo «Ordine politico e cambiamento sociale»). «Un governo che governi». La differenza è che Huntington ne fa una descrizione politologica, priva di giudizi valoriali, mentre Renzi la fa prescrittiva, una sorta di autoritarismo minore in via di costruzione attorno alla propria persona. Per il politologo americano, «la decadenza politica è almeno altrettanto probabile dello sviluppo politico (e) si accompagna ad un incremento del disordine sociale e politico, perché i vantaggi della modernità entrano reciprocamente in contrasto tra loro». Di qui, l'esigenza di un «governo che governi» la modernizzazione. Per il capo del governo, la crisi della politica e l'esigenza di cambiamento sono una opportunità da cogliere per soddisfare le proprie ambizioni personali e le proprie inclinazioni politiche.
L'ordine politico - scrive Huntington - va considerato cosa buona in se stessa perché «senza ordine sociale, il procedere dello sviluppo economico e di quello sociale non avrebbe successo». Dubito che Renzi abbia letto il libro di Huntington; quel che è certo, se lo ha letto, lo ha interpretato in una chiave che assomiglia a una sorta di fascismo in costruzione, personalistica e autoritaria, che si addice poco ad una democrazia liberale.
Intendiamoci. È, entro certi limiti, del tutto normale che il capo del governo si preoccupi delle ricadute sociali e politiche della modernizzazione quando il ritmo della mobilizzazione sociale supera quello dello sviluppo delle istituzioni politiche; che sono rimaste indietro. L'Italia in transizione esemplifica la crisi della politica, sempre più debole e assente, descritta dal politologo americano e non solo da noi. È inquietante che Renzi la interpreti come l'esigenza di un potere governativo forte, che decide senza aver consultato e ascoltato nessuno e ancora più inquietante è che molti italiani ne facciano una questione di governabilità in una democrazia liberale come la nostra a tanti anni dalla caduta del fascismo. Il nostro Paese non è propriamente un buon esempio di democrazia matura, sia socialmente, sia politicamente. Ma il problema non è rifiutarla, bensì correggerla attraverso riforme sociali e politiche, da ogni governo sempre adombrate, ma poi mai realizzate.
Renzi si era presentato come colui il quale le avrebbe fatte, ma una volta a capo del governo o le ha abbandonate o le ha concepite solo come un mezzo per accrescere il proprio potere personale, rivelando così una mentalità
tendenzialmente autoritaria. L'ex sindaco di Firenze si muove e si comporta come se gli elettori non dovessero giudicarlo. Ma, così facendo, corre il rischio di una sonora sconfitta alle prime elezioni.piero.ostellino@ilgiornale.it
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