L'ultima chance di ripensare il centrodestra

Riconoscenza e tradimento non sono categorie politiche. Ora il centrodestra deve ricucire le divisioni e formulare una strategia cui attenersi nei confronti di Renzi e della maggioranza che ha eletto Mattarella

L'unilaterale designazione, prima, e l'elezione guidata a presidente della Repubblica, poi, di Sergio Mattarella da parte del presidente del Consiglio hanno prodotto un certo disappunto e qualche divisione nel centrodestra. Ci si aspettava che Renzi interpellasse Berlusconi e concordasse con lui il candidato da votare, manifestando così almeno un minimo di riconoscenza per il sostegno che il Cavaliere dà alle pallide riforme istituzionali del Partito democratico. Se ne è interpretata l'esclusione come un tradimento. Ma riconoscenza e tradimento non sono categorie politiche e ora il centrodestra deve non solo ricucire le divisioni che si sono prodotte al suo interno, ma anche, in qualche modo, fare ordine in casa propria e formulare una strategia cui attenersi nel prossimo futuro nei confronti di Renzi e della maggioranza a guida renziana che ha eletto Mattarella.

Finora, il centrodestra era vissuto contando sul carisma e sulle capacità di attrazione elettorali di Silvio Berlusconi. Ma non bastano più. La carenza di cultura politica si fa sentire e le dure repliche della politica impongono che ci si metta finalmente mano. Personalmente, la ritengo una operazione necessaria e persino urgente perché il ceto medio – che è, poi, il bacino sociale e politico del centrodestra - non può restare senza una rappresentanza politica che si sostanzi culturalmente anche in una «certa idea dell'Italia». Nel 1994, contro un centrosinistra capeggiato dal Partito comunista, quella «certa idea dell'Italia» aveva avuto successo, fatto vincere le elezioni al centrodestra e arrestato la marcia della macchina da guerra del Pci. Probabilmente, più che il programma, era stata la paura di un successo comunista che aveva guidato la mano dei moderati alle elezioni. Ora, quella paura non c'è più o, comunque, si è fortemente attenuata. Il mondo è cambiato e occorre prenderne atto. Matteo Renzi, che non è un riformista, ma un furbo trasformista, lo ha capito e ha sostanzialmente adottato per il centrosinistra le tematiche che erano state del centrodestra. Renzi è, a suo modo, un clone di Berlusconi, nel senso che, da sinistra, ne ripete le parole d'ordine dentro e contro il suo stesso partito. Berlusconi pare ritenersi soddisfatto di aver influenzato la politica del proprio avversario politico. Ma la questione cruciale è: sarà sufficiente il trasformismo di Renzi a cambiare l'Italia? E il centrodestra ha le risorse culturali per approfittare della circostanza e fare al proprio interno la stessa operazione che Renzi ha portato brillantemente a termine nel centrosinistra sbaragliando la vecchia guardia post-comunista e conquistando molti consensi anche nel ceto medio? Il nodo della questione, per il centrodestra, sta tutto in questi due interrogativi ai quali Berlusconi non può sperare di dare una risposta vincente per interposta persona, mettendosi a ruota del ragazzotto fiorentino. Ma non può evitare di chiedersi, e chiedere al centrodestra, di analizzare il fenomeno Renzi e adottare le necessarie misure culturali per farvi fronte politicamente.

È un'impresa difficile, se non addirittura disperata, dopo la diaspora degli intellettuali che avevano aderito a Forza Italia nel 1994.

Il ceto medio, per farsi sentire culturalmente e sostenere le proprie ragioni e i propri interessi politicamente, non può più contare solo su Berlusconi. E lo stesso Berlusconi dovrebbe rifletterci – facendosi promotore, all'interno di Forza Italia, di una proposta culturale - prima che sia troppo tardi...

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