Erano gli ultimi giorni di marzo. Già in pieno lockdown e con il lungo intervento di Mario Draghi sulla prima pagina del Financial Times che aveva di nuovo acceso i riflettori su eventuali scenari di grande coalizione nel caso in cui il governo guidato da Giuseppe Conte non fosse stato in grado di reggere ai contraccolpi della pandemia. E proprio in quelle ore, mentre pubblicamente smentiva con forza qualunque interesse del M5s a prendere parte a «operazioni di Palazzo», Luigi Di Maio aveva già iniziato a mettere in conto l'ennesima giravolta della sua pur breve carriera politica. «Se davvero si arrivasse a uno scenario di unità nazionale con Draghi premier, il Movimento non potrebbe non farne parte», confidò in quei giorni a un importante esponente di governo grillino a lui molto vicino.
Passati oltre tre mesi, ieri il ministro degli Esteri ha deciso che era arrivato il momento di spargere almeno qualche indizio in questo senso ed è stata fatta filtrare la notizia di un faccia a faccia con l'ex governatore della Bce. Non a caso, tra i tanti incontri riservati avuti in queste settimane da Draghi con diversi leader politici, quello con Di Maio - che risale al 24 giugno - è stato l'unico a rimbalzare sui media. D'altra parte, tutte le grandi giravolte grilline - dalla Tav alla Tap, passando per il «mai con la Lega» e il «mai con il Pd», fino ad arrivare al Mes - hanno bisogno del loro tempo per essere digerite. Sia dal Movimento, ieri in grandissima agitazione, che dal suo elettorato. E su Draghi i grillini hanno sempre picchiato duro, così come lo stesso Di Maio (nel 2018, quando era ancora il numero uno dell'Eurotower, lo accusò pubblicamente di «avvelenare il clima» e «non rispettare l'Italia»). Così, ha un senso che il titolare della Farnesina abbia deciso di gettare un primo sasso nello stagno per iniziare a smuovere le acque. Il che, se mai ce ne fosse bisogno, non fa che confermare quanta fibrillazione ci sia intorno a un governo che - nelle stanze che contano - in molti iniziano a credere ormai a fine corsa.
In verità, è difficile prevedere cosa davvero accadrà dopo le regionali di fine settembre (che potrebbero punire pesantemente l'esecutivo e soprattutto il Pd) e come quel risultato si salderà a una crisi economica che rischia di acuirsi ancora. Di certo, però, c'è che facendo filtrare l'incontro con Draghi, ieri Di Maio ha messo sul tavolo un altro pezzo di un puzzle che per il futuro contempla sia una possibile caduta di Conte che un eventuale governo di larghe intese. Insomma, l'eventualità che si vada a finire proprio lì è considerata concreta da molti. E, in questo senso, il faccia a faccia tra SuperMario e il titolare della Farnesina fa il paio con l'inattesa apertura a Silvio Berlusconi, arrivata qualche giorno fa dal suo ultra ventennale avversario Romano Prodi. Tutti sintomi di un panorama politico così fluido e in movimento che nessuno si sente di escludere nulla.
Chi non pare l'abbia presa granché bene è, ovviamente, Giuseppe Conte. Che del faccia a faccia non sapeva niente e ne ha avuto notizia direttamente dall'agenzia di stampa Adnkronos. Pare che ieri mattina a Palazzo Chigi fossero letteralmente su tutte le furie. Non solo perché sono ben consapevoli del segnale politico che ha voluto lanciare Di Maio e di quanto questo indebolisca la tenuta del premier. Ma anche perché ormai non si contano più i motivi di tensione con la Farnesina.
L'ultimo scontro risale a fine giugno, quando il ministro degli Esteri ha deciso di andare a Tripoli ad incontrare il premier libico Fayez al-Serraj che solo 48 ore dopo era atteso a Roma per un faccia a faccia con Conte. Legittimo che il premier possa non aver gradito. E così anche ieri, visto che a Palazzo Chigi si parlava apertamente di «fuoco amico».
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