Il malessere Pd: "I 5s ci logorano"

Letta cerca di salvare il patto elettorale senza minare Draghi

Il malessere Pd: "I 5s ci logorano"

Le ragioni di un'alleanza elettorale o quelle della stabilità del governo e della credibilità del paese? La linea del Pd è quella di tentare di salvare capra e cavoli, a costo di infinite mediazioni al ribasso, e di non rompere con i Cinque Stelle, nonostante la deriva avventurista e anti-occidentale imboccata da Giuseppe Conte. Perché tra poco ci sono le amministrative, le regionali in Sicilia (che verrà regalata dai dem a un candidato M5s, in cambio del sostegno al candidato Pd di Palermo) e poi le elezioni politiche. E «non possiamo permetterci di tagliare i ponti» con i grillini, è il messaggio di Enrico Letta ai suoi. Per questo, il segretario insiste perché non si «alzino i toni», non si «attacchi apertamente» l'ex premier, non si «acuisca lo scontro». E pazienza se così si rischia di minare Draghi e di confermare che l'Italia resta l'anello debole della catena nella solidarietà occidentale contro i ricatti del despota di Mosca.

Così, l'appello di Letta contro «una crisi di governo che lascerebbe sbigottito il mondo intero» e che «sarebbe dannosa per noi e tremendamente negativa per il processo di pace» suona non tanto come un avvertimento all'ex avvocato del popolo, quanto come una richiesta rivolta a Draghi, perché non insista a mettere con le spalle al muro M5s per la sua irresponsabile guerriglia contro il governo. Glielo fa notare Carlo Calenda: «Perfetto: ma mancano i nomi del partito e del leader che hanno quasi creato la crisi che sbigottirebbe il mondo intero. La prossima volta?».

Martedì, quando Conte ha alzato il tiro contro gli impegni sottoscritti dal suo stesso governo sulla Difesa Nato, si sono mobilitati i filo-grillini del Pd: un pressing forsennato del ministro Orlando nel governo e del vicesegretario Provenzano sul partito, coadiuvati da Zingaretti (che sta costruendo accordi con M5s per la regione Lazio) e Bettini, per spingere al compromesso e andare incontro alle richieste dell'ex premier. Chiedendo di annacquare la linea filo-occidentale fin qui tenuta da Letta e sventolando sotto il naso del segretario appositi sondaggi Swg secondo cui «il 52% degli elettori Pd non vuole aumenti delle spese militari».

Ma la via dell'inseguimento dei Cinque Stelle, con la loro guerriglia permanente al governo Draghi, crea malessere profondo nelle file del Pd. «Che differenza c'è tra Conte e Salvini, a parte il fatto che il primo porta la t-shirt di Putin sotto il doppiopetto?», sbotta un parlamentare di area riformista. «Un tempo avevamo Bertinotti, oggi abbiamo Giuseppi», ironizza Enrico Borghi. Denuncia Andrea Marcucci: «La posizione 5S è incomprensibile. Conte vuol mettere in crisi Draghi per le spese militari che sono cresciute proprio durante i suoi governi». Ma è la prospettiva di ritrovarsi incatenati ad un'alleanza politico-elettorale con un M5s assestato sulla linea Dibba a provocare incubi ai dem: il timore non è quello di uno strappo che apra formalmente la crisi, che Conte non può certo permettersi. Ma di uno spostamento progressivo su posizioni sempre più oltranziste e populiste, per lucrare consensi sulla paura della guerra e sulla crisi economica, rubando voti al Pd e costringendolo a ogni tornante a scegliere tra la linea del governo e della Ue e quella dei suoi compagni di strada.

«Rischiamo di arrivare alle prossime politiche logorati», è il timore diffuso. Ma l'obiezione del Nazareno è che «non abbiamo scelta»: la legge elettorale non cambierà, di qui ad un anno, e «con qualcuno dovremo pur allearci».

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