Roma - Si chiude un anno poco felice per Matteo Renzi. A costo di rischiare il palco-gogna alla prossima Leopolda, verrebbe da dire che e il 2015 è stato quasi un annus horribilis per il governo e il Paese, tra conti che non tornano e speranze sulla crescita che si infrangono e banche che saltano. Ci sono dati macroeconomici quasi positivi, regolarmente presentanti dal premier Matteo Renzi come successi nazionali, ma che sono drammaticamente meno brillanti di quelli degli altri partner europei. La ripresa da noi è un venticello che lascia il paese nelle secche e che rischia di finire presto, quando non potremo più contare su l'anomalia di un cambio favorevole in contemporanea con prezzi dell'energia bassissimi.
I dati sul lavoro, c'è poco da fare, non sono all'altezza degli sforzi messi in cambio dal governo con il Jobs Act. Buio pesto sui conti pubblici, tanto che il governo ha deciso di giocare alla roulette con Bruxelles presentando un deficit non concordato. Il senso delle cose che non vanno lo ha dato negli ultimi giorni Confindustria. Il presidente Giorgio Squinzi non nasconde più le difficoltà. La ripresa non è «la lenta risalita che stiamo osservando dall'inizio del 2015», ha spiegato. Tradotto in cifre, il Pil italiano nel 2015 dovrebbe crescere dello 0,8%. Una delusione per chi si aspettava qualcosa di più. Ma anche una bocciatura per l'Italia, perché dietro quegli otto decimali di crescita c'è praticamente solo la Banca centrale europea.Mario Draghi ha spiegato anche di recente. L'effetto del quantitative easing (cioè l'acquisto di titoli di Stato da parte della Bce) anche per il 2015 è di un punto percentuale di Pil.
In altre parole, senza la cura da cavallo di Francoforte, il Pil italiano sarebbe in calo dello 0,2%.È il risultato di una «scommessa sbagliata» fatta dal premier nei primi mesi di governo, spiega Riccardo Puglisi, economista ed esponente di Italia Unica. Quella di puntare sui consumi, con il bonus da 80 euro, piuttosto che sugli investimenti. Adesso nella ultima Stabilità qualcosa c'è. Ma non basta. Negli ultimi mesi è diventato negativo anche uno degli indicatori che avevano fatto pensare a una ripresa vera e solida. Gli investimenti fissi lordi hanno segnato nel terzo trimestre un meno 0,4%. Non va meglio se si guardano i dati che riguardano il lavoro. Lì una riforma c'è stata, bella pesante. La narrazione governativa di dice che la disoccupazione è in calo. Ed è vero. Ma è anche noto che quella percentuale dice poco, perché considera solo chi cerca lavoro. Più utile guardare all'occupazione, cioè la percentuale di popolazione attiva che lavora. Dopo mesi di recupero l'ultimo dato Istat ci dice che c'è stata «una battuta di arresto» registrata nel periodo agosto-ottobre (+0,1%, +32mila unità), è infatti sintesi dell'elevato incremento registrato nel mese di agosto e dei cali successivi di analoga intensità manifestatisi a settembre e ottobre (-0,2%)».
A fare aumentare la quota di occupati, più che la riforma Poletti del lavoro è quella Fornero delle pensioni, che ritarda il ritiro dei dipendenti anziani. La disoccupazione è calata passando dal 12,3% all'11,7%, soprattutto perché sono aumentati gli inattivi. I cosiddetti scoraggiati, che non rientrano nelle statistiche dei disoccupati. Il peggio deve ancora venire. Quanto l'anno che sta per finire sia stato difficile, ce lo spiegherà la Commissione europea in primavera.
Scelte fatte quest'anno, con la legge di Stabilità si ripercuotono gravemente sui conti del prossimo. Il deficit del 2016 si attesterà al 2,4%. Se a Bruxelles i conti non torneranno, saremo costretti a varare una manovra correttiva. E inizieremo un altro anno «no».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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