Se vuoi sapere cosa fanno le imprese, chiedilo alle imprese. Mentre il dibattito pubblico si avvita tra fasi 2, linee guida e task force, i motori di molte aziende hanno già ripreso a carburare. In tutta Italia sono già 125mila le saracinesche riaperte approfittando del varco aperto dal Dpcm del 22 marzo, 25mila nella sola Lombardia: per rimettersi al lavoro basta una dichiarazione al Prefetto in cui si certifica di appartenere a una delle filiere individuate come strategiche.
«Noi abbiamo mandato la comunicazione alla prefettura ieri mattina -racconta Enzo Stilla, patron dell'omonimo gruppo tessile che conta 300 dipendenti e tre stabilimenti nel Pavese- ci siamo sempre mossi d'anticipo rispetto alle linee guida del governo: il gruppo possiede anche alcune attività di ristorazione, le abbiamo chiuse prima della quarantena e ci criticavano. Ora ci ringraziano». Le industrie Stilla lavorano pellame e calzature, con clienti come Prada, Della Valle, Gucci, ma sono operative anche in campo medicale. «Ora dobbiamo muoverci perché c'è concorrenza internazionale -spiega l'imprenditore- Gli aiuti di Stato? Li chiederemo ma senza contarci su, vista la burocrazia che c'è». Stilla si definisce «terrorizzato dal virus» e garantisce 5 metri di distanza tra gli addetti nella zona della produzione e una sola persona per ufficio. «Certo -conclude amaro- i costi salgono: le mascherine chirurgiche che a dicembre costavano 12 centesimi ora le paghi 70-80 se hai un buon canale».
La sfida è impervia ed è per questo che il braccio di ferro politico visto dagli stabilimenti dell'Italia che vuole ripartire appare uno di quei quadri astratti che non sai da che parte girare.
Il governo ha man mano corretto l'approccio iniziale basato sui codici Ateco che non teneva conto delle filiere produttive, paralizzando le forniture necessarie ad alcune imprese strategiche. C'è chi ora invoca controlli polizieschi sulle aziende, come se la maggior parte degli imprenditori non vedesse l'ora di portarsi l'epidemia in casa. Al Viminale garantiscono di aver raccomandato ai Prefetti, cui sono demandati controlli, un approccio di buon senso. «I controlli ci sono -spiega il ministro Luciana Lamorgese- ma puntiamo molto sul senso di responsabilità degli imprenditori, del resto gli italiani hanno già dimostrato di averne parecchio durante questo periodo di lockdown». Su 9 milioni di verifiche delle autocertificazioni sui cittadini in strada, le sanzioni sono arrivate a stento al 4 per cento del totale.
Su indicazione del Viminale, i Prefetti si servono anche dell'expertise della Guardia di finanza. Ma, al momento, sono solo un paio di migliaia le aziende cui è stata imposto di chiudere nuovamente perché si è ritenuto che non appartenessero a filiere strategiche, al contrario di quanto dichiarato.
I problemi tuttavia non mancano: «Servirebbero indicazioni più chiare sulle filiere -dice Alessandra Damiani, responsabile del settore elettrodomestici per la segreteria nazionale della Fim Cisl- ci sono Prefetti che fanno valutazioni diverse sulla strategicità delle aziende, anche all'interno degli stessi settori». E mentre le decisioni politiche arrivano lente, sindacato e imprese hanno spesso interpretato al meglio lo spirito di unità richiesto dai tempi. «Mentre il governo decide sull'app -spiega Damiani- aziende come Electrolux hanno già accettato di sperimentarne una in proprio, sempre su base volontaria».
Resta il rischio che poi il governo arrivi a complicare le cose con linee guida diverse. Ed ecco perché i sindacati plaudono a chi riapre come Fca che dal 27 riparte con la produzione del Ducato alla Sevel, ma chiedono certezze al governo.
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