Quei magistrati diversi dalle toghe star. Ma i media di sinistra non ne parlano

Fanno autocritica, richiamano al rispetto della legge e degli imputati, si sottraggono al circo mediatico. Sono normali

Quei magistrati diversi dalle toghe star. Ma i media di sinistra non ne parlano
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Ci sono anche i magistrati che fanno autocritica, ma i giornalisti tendono a non parlarne perché sono loro complici (spesso) e sul tema hanno la coda di paglia. Badateci: anche quando muovono critiche feroci contro la corporazione togata, i giornalisti le accompagnano a distinguo tartufeschi del genere «non tutti sono così», prevale «una parte sana della magistratura», gente che lavora «in silenzio» e ovviamente «lontano dai riflettori». Ed è vero: se non fosse che, proprio per questo low profile, fare degli esempi positivi diventa difficile. Così, quando i richiami contro il famigerato «circolo mediatico giudiziario» vengono direttamente dalla magistratura, peraltro nell'arco di poco tempo, è il caso di segnalarlo. Nell'ultimo mese abbiamo avuto almeno quattro esempi regolarmente sottostimati perché il circolo è sì giudiziario, ma soprattutto è mediatico. Il primo esempio riguarda il Procuratore Capo di Termini Imerese Ambrogio Cartosio (inchiesta sul naufragio del Baysian), il secondo riguarda il procuratore di Venezia Bruno Cherchi (processo a Filippo Turetta per l'omicidio di Giulia Cecchettin) e il terzo, sul Foglio di sabato, riguarda il procuratore di Parma Alfonso D'Avino sul caso dei neonati sepolti a Traversetolo. Se provate a mettere in fila le loro dichiarazioni, in pratica, ne esce un editoriale di garantismo «liberticida» aduso a «leggi bavaglio» e cose così.

Procuratore di Termini Imerese Ambrogio Cartosio il 23 agosto: «Tutti i cittadini sono tenuti a rispettare le leggi, anche quando non piacciono, e più ancora questo riguarda i magistrati: quindi i magistrati devono rispettare le leggi, ragione per la quale io non rispondevo alle domande che mi venivano rivolte Ci sono alcune cose sulle quali non si possono fare delle comunicazioni, perché questo ostacolerebbe le indagini Mi sembra corretto, da parte mia, anticipare che gli sviluppi di queste indagini non possono essere assolutamente prevedibili».

Procuratore di Parma Alfonso D'Avino sul Foglio del 22 settembre: «Mi fa male vedere che un sospettato e la sua famiglia vengano aggrediti in maniera continua dai giornalisti. Sono contento quindi che con la nostra condotta abbiamo impedito almeno per un mese che la famiglia di Chiara venisse aggredita. E parlo di una persona per la quale noi avevamo chiesto il carcere Ma un conto è la risposta giudiziaria, un altro è abbandonare quella persona alla mercé del circo mediatico Dopo l'entrata in vigore del decreto sulla presunzione di innocenza, ho adottato una direttiva per stabilire le modalità di comunicazione perché ci tenevo che venissero osservate quelle disposizioni che l'Ue ci chiedeva di rispettare La legge c'è... io ne condivido anche i contenuti».

Procuratore di Venezia Bruno Cherchi il 23 settembre: «Questo non è il processo contro i femminicidi, ma un processo contro il singolo che si chiama Turetta e che risponderà dei reati che gli sono stati contestati Se si sposta questo quadro a obiettivi più ampi si snatura totalmente il processo, che non è uno studio sociologico il processo è l'accertamento di responsabilità dei singoli, deve svolgersi in aule giudiziarie con i diritti che anche l'imputato ha secondo la Costituzione e il Codice».

Ci sarebbe anche il caso del procuratore di Napoli Nicola Gratteri, secondo il quale, parole sue, «la credibilità della magistratura è al minimo storico» anche perché, dopo il caso Palamara, «il capo

dello Stato avrebbe dovuto convincere i componenti del Csm a dimettersi bisognava lanciare il messaggio che si stava voltando pagina». Dettaglio: queste dichiarazioni sono uscite solo sul Giornale e sulla Gazzetta di Napoli.

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