Testa rasata, camicia scura a quadri e un sorriso desolato stampato sul volto. È apparso così ieri mattina al tribunale di Ekaterinburg Evan Gershkovich, il 32enne giornalista americano arrestato nel marzo dello scorso anno dai servizi di sicurezza russi con l'accusa di aver raccolto informazioni per la Cia su uno dei principali produttori di carri armati in Russia, la Uralvagonzavod. Non a caso il giornalista venne arrestato pochi giorni dopo una visita a Niznij Tagil, città degli Urali sede del colosso bellico, anche se è tutto da dimostrare che stesse davvero raccogliendo informazioni sull'azienda. Gershkovich, che rischia fino a vent'anni di reclusione, ha sorriso ai colleghi che ha riconosciuto in aula, rivolgendo loro un «hey guys» appena udibile, secondo quanto riferito dai cronisti che hanno potuto accedere brevemente all'aula prima dell'inizio del processo. Un'udienza durata pochi minuti, e rinviata al 13 agosto per l'assenza di due persone chiamate a testimoniare. Gershkovich è quindi stato riportato nel penitenziario di Lefortovo.
Quanto accaduto ieri mattina a Ekaterinburg ha il sapore di una farsa. I media anti-Putin sono pronti infatti a giurare che in agenda non ci fosse l'interrogatorio di alcun teste. Gershkovich sarebbe stato solo mostrato ai media per rinfrescare la memoria a Washington e lavorare su uno scambio di prigionieri. Nel corso della famosa intervista fiume con Tucker Carlson, Putin aveva infatti lasciato intendere di essere disposto a liberare la firma del Wall Street Journal in cambio della scarcerazione di Vadim Krasikov, il killer di Tiergarten, l'ex agente dell'intelligence russa detenuto in Germania con l'accusa di aver ucciso il 23 agosto del 2019 a Berlino il comandante dei separatisti ceceni Zelimkhan Khangoshvili. In un comunicato, l'ambasciata statunitense a Mosca ha affermato che i suoi rappresentanti hanno potuto assistere a una minuscola parte della pur breve udienza, e che in quel lasso di tempo le autorità russe non hanno presentato alcuna prova che confermasse le accuse. «È detenuto illegalmente e usato come merce di scambio dal Cremlino per raggiungere obiettivi politici», ha ribadito l'ambasciatrice Lynne Tracy. La famiglia ha commentato la situazione: «Il giornalismo non è un crimine».
Che sotto traccia qualcosa si possa muovere l'ha spiegato il vice ministro degli Esteri russo Ryabkov, sostenendo che la Casa Bianca ha ricevuto «indicazioni attraverso canali appropriati. Washington mostra interesse per le sorti del giornalista, e questo farà in modo che tutto diventi più chiaro». I canali ufficiali invece sono sempre cristallizzati sull'immediato rilascio chiesto dagli Usa, e la garanzia di un processo equo promesso da Mosca, sintesi di una telefonata tra Blinken e Lavrov del maggio dello scorso anno.
Ieri John Kirby, portavoce del Consiglio per la sicurezza americana, ha dichiarato che «Evan non è una spia, non è mai stato impiegato dal governo degli Stati Uniti.
Lui, come il collega americano Paul Whelan, viene usato come merce di scambio». Donald Trump, in piena campagna elettorale, scrive su Truth: «Se vinco le elezioni del 5 novembre verrà rilasciato prima ancora che io mi insedi ufficialmente».
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