A un anno dall'invasione dell'Ucraina è stata quasi una sfida diretta: uno a Varsavia l'altro a Mosca, i leader di fatto dei due schieramenti si sono affrontati a colpi di oratoria. E al di là di tutte le altre differenze, uno è sembrato giocare all'attacco; l'altro in difesa.
Biden è arrivato nella capitale polacca sull'onda di quella che i mass media Usa hanno presentato come una specie di impresa, testimoniata da video e foto che hanno fatto il giro di siti e notiziari tv. Il New York Times è arrivato a scomodare Abramo Lincoln, in visita alla linea del fronte nel Nord della Virginia durante la guerra civile. «Da allora», ha scritto il quotidiano, «mai nessun presidente in carica si era mai spinto così vicino a una zona di combattimento». Altre missioni c'erano state, da Bush figlio in Irak a Trump in Afghanistan, ma sempre in aree rigidamente presidiate per cielo e per terra dalle Forze Armate Usa. In questo caso, invece, ci si è accontentati della protezione fornita da un manipolo di guardie del corpo.
Una volta tornato sul terreno amico l'inquilino della Casa Bianca ha avuto buon gioco nel mostrare ottimismo e nell'esaltare la forza delle democrazie in contrapposizione a quella dei regimi autoritari. Con le coloriture retoriche tipiche della politica Usa le parole più ripetute sono state forza, futuro e libertà. Il pubblico di riferimento era, con ogni evidenza, l'intera opinione pubblica del mondo occidentale
Di tutt'altro tono è apparso il discorso di Putin, perfino sorprendente nella sua ripetitività: l'Occidente ha scatenato la guerra per distruggerci, l'America vuole costruire uno stato fantoccio contro di noi, in Ucraina comandano i neo-nazisti e così via. Nessun riferimento ad altri Paesi (con l'eccezione di un passaggio colpevolizzante sull'Italia), implicito riconoscimento dell'isolamento russo, molte le rassicurazioni su prezzi, indennità, sostegni alla popolazione per fare fronte alla crisi.
Quasi ironica è suonata una delle citazioni clou del discorso: «Nella difesa della Russia dovremmo tutti unirci e coordinare i nostri sforzi, i nostri obblighi e i nostri diritti per il sostegno di ciò che è prioritario: il diritto della Russia di essere forte».
A pronunciare la frase fu Piotr Stolypin, primo ministro dello zar Nicola II. Poco tempo dopo fu ucciso da un agitatore bolscevico, poi toccò allo stesso zar. E infine fu l'intera Russia a cadere per 70 anni sotto il tallone comunista.
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