Siamo di Serie A Il campionato dell'ottimismo collettivo

Più investimenti portano più fiducia e, si spera, più risultati

Siamo di Serie A Il campionato dell'ottimismo collettivo

Non comincia solo un campionato. Comincia un'era, forse. Perché dopo tre anni di depressione, così all'improvviso, il calcio italiano pare essersi ripreso: nessuno quest'anno parla di crisi, nessuno parla di distanze incolmabili con gli altri campionati. Che cosa è cambiato? Poco. È vero che quest'anno i club hanno avuto più soldi dai diritti tv, ma ciò non giustifica un mercato così frizzante come quello che abbiamo visto, non è sufficiente a spiegare che ci sono investimenti che l'anno scorso e i due precedenti non erano neanche immaginabili.

È più un cambio psicologico, d'umore collettivo, di voglia di tornare là dove eravamo. Il che è da un lato preoccupante e da un altro consolante. Preoccupante perché i club spendono, ma fanno comunque fatica a fare soldi, se non quelli dei broadcaster tv. Consolante perché a oggi il cambio di rotta è paradossalmente l'unico mezzo con cui si può cominciare l'inversione del ciclo economico pallonaro: più investimenti, uguale più fiducia, più fiducia uguale più risultati, più risultati uguale più soldi, più soldi uguale più investimenti (di nuovo), più investimenti uguale più servizi (stadi, merchandising, settori giovanili), più servizi uguale più ricavi dei club, più ricavi uguale più campioni.

La Juve in finale di Champions è stata probabilmente l'inizio della svolta. Una scossa collettiva che ha preso anche e soprattutto i rivali. Fiorentina e Napoli in semifinale di Europa League sono stati il corollario: la consapevolezza che si può fare. E i club hanno fatto. Sono arrivati ottimi giocatori, non campionissimi, che è quasi meglio perché è con un livello medio più alto che cresce l'intero sistema. I club che hanno venduto i migliori hanno anche comprato, seguendo una logica semplice: ciò che prendo da una cessione lo investo in due o più acquisti. Si sono rafforzate molte squadre, quelle che pensano di poter lottare con la Juventus per la vittoria dello scudetto e quelle che stanno subito sotto. E forse è a queste che bisogna guardare quest'anno: Fiorentina, Torino, Genoa, Sampdoria, Udinese, Bologna, Sassuolo. Non c'è campionato competitivo se c'è troppa differenza tra i club più forti e gli altri. Perché è l'Inghilterra il modello, non la Spagna. Perché è la Germania il modello in seconda battuta, non la Francia.

Non siamo fuori dalla crisi come Paese e non lo siamo neanche come calcio: il caso Parma è troppo vicino per non avere paura che possa accadere di nuovo.

E lo sappiamo che ci sono altri club con i conti disastrosi, ma per una volta il calcio s'è dato una mossa prima del Paese: la regola del tetto alle rose, quella dei giovani da mettere nelle liste obbligatoriamente, sono non proprio liberali ma forse efficaci per regolare un mondo che stava scivolando fuori controllo. Non sappiamo se basta, anzi di sicuro non basta. È l'inizio. Come oggi è l'inizio di una nuova stagione di pallone. Imperfetto, a volte sbagliato, persino maledetto. E però comunque e sempre imprescindibile.

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