Berlino«Io credo che la reputazione dell'economia tedesca e che la fiducia nei suoi confronti non siano state scosse al punto che non siamo più considerati una buona destinazione per il business». Lo ha detto domenica scorsa la cancelliera Angela Merkel nel corso di un'intervista. La lingua, si sa, batte invece dove il dente duole e le parole pronunciate dalla leader cristiano-democratica suonano un po' come un candido auspicio: Frau Merkel è ben consapevole che, dopo aver falsificato i test sulle emissioni dei veicoli diesel, la Volkswagen ha gettato un'ombra tetrissima su tutto il Made in Germany. Considerata fino a ieri garanzia di qualità, l'etichetta rischia di diventare sinonimo di cialtroneria e inganno. Un rischio enorme per un'economia trainata in gran parte dell'export. Certo, l'industria degli autoveicoli non è l'unica a «tirare»; è anche vero però che i tedeschi hanno trasformato le loro macchine in un biglietto da visita. E se Made in Italy è sinonimo di stile, Made in Germany significa qualità. «Spero che VW rispristini in velocità la trasparenza necessaria», ha detto speranzosa la cancelliera prima di imbarcarsi in una missione economico-diplomatica per l'India. Un viaggio d'affari al quale ha fatto seguito la notizia che la ThyssenKrupp sta cercando di chiudere un affare da 35 miliardi di dollari per la costruzione di una flotta di sottomarini per l'Australia.
Eppure dai fasti del Mondiale 2014, con la Germania laureata campione del mondo per la quarta volta, sembra passato un secolo. «È tempo che l'industria tedesca abbandoni la sua arroganza», ha titolato Der Spiegel . Senza fare sconti, il settimanale ha aperto ricordando l'intervista fatta un anno fa all'ormai ex ad di Volkswagen, Martin Winterkorn: «Le cose peggiori che ci potrebbero accadere? Arroganza e compiacenza». Sullo Spiegel ce n'è per tutti, anche per la Deutsche Bank che - dopo essere stata colpita da una multa da 2,5 miliardi di dollari per avere manipolato i tassi Libor, Euribor e Tibor - «è ormai l'ombra di se stessa». Negli ultimi anni, si legge ancora, «l'industria tedesca ha perso molto del suo splendore e solo poche grandi aziende stanno ancora “giocando in serie A”. Lufthansa fatica per resistere all'assalto da parte delle compagnie a basso costo, mentre i giganti energetici E.on e RWE lottano per la loro stessa sopravvivenza».
Certo, anche la cattiva sorte ci ha messo lo zampino: basti pensare al disastro aereo lo scorso marzo di Germanwings, la sussidiaria a basso costo della compagnia di bandiera tedesca. Un episodio nerissimo della storia dell'aviazione civile europea che ha messo in luce, però, serie incongruenze nella catena dei controlli medici dedicati ai piloti tedeschi. E poi gli scioperi a catena nei trasporti, l'Nsa americana che ha spiato il cellulare della cancelliera e il nuovo aeroporto di Berlino la cui consegna ritarda ormai da cinque anni. E se nulla si può contro la sfortuna, va però ricordato che all'indomani del suicidio-strage compiuto dal pilota Germanwings, Alitalia fu la prima a imporre la presenza di due persone in cabina di pilotaggio. Convinta della propria infallibilità, Lufthansa ci dovette riflettere più a lungo. «Arroganza e compiacenza». A deprimere il clima anche il dato dell'Oktoberfest che, dopo anni di tutto esaurito, ha appena registrato un calo di 400 mila presenze. Forse un rimbalzo dovuto alla crisi dei rifugiati che ha colpito in primis Monaco di Baviera.
O forse solo sfortuna come quella della cancelliera che, finita l'intervista, si è imbarcata sul suo Airbus A340 «Konrad Adenauer» alla volta di Bangalore. Prima del decollo il velivolo di Stato ha smesso di funzionare e Merkel è dovuta partire con un aereo militare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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