La grande scommessa del governo Meloni è nascere come il più conservatore degli esecutivi della Repubblica, avendo però il dovere di agire come il più riformista. Perché solo attraverso profondi cambiamenti in tema economico e sociale Meloni e i suoi potranno dare e lasciare un'impronta identitaria, di destra. E segnare quella discontinuità a lungo invocata in questi ultimi anni e per la quale hanno ricevuto il voto degli elettori. Tanto è vero che già ieri pomeriggio, a poche ore dal giuramento quirinalizio, qua e là si sono alzate le prime barricate della resistenza al cambiamento. Tipiche da parte di gruppi sociali o corporativi che hanno tutto da perdere di fronte a un ribaltamento non solo di un governo, bensì di un intero sistema di potere.
Prendiamo la Pa, pubblica amministrazione: rendere la burocrazia meno invadente e più produttiva è senz'altro una «cosa di destra», che un governo schierato come questo vorrà perseguire. E infatti è arrivato puntuale l'avvertimento: la Usb pubblico impiego ha accolto il nuovo ministro della Pa, Paolo Zangrillo, confermando la mobilitazione del 26 ottobre e avvisando che «non ci sentiamo rassicurati dalla presenza di un manager, capo del personale, alla guida di un ministero tanto delicato per i bisogni dei cittadini». Per la Usb «la Pa non è un'impresa privata ma welfare e servizi essenziali che i dipendenti pubblici erogano alla cittadinanza».
Che dire poi di quella parolina che Meloni ha aggiunto al ministero dell'Istruzione: è diventato anche del «Merito». Un vocabolo che dalle parti della Cgil e di intere generazioni di sindacalisti della scuola suona come l'aglio per i vampiri. Ecco, questa sì che sarebbe una rivoluzione e sarebbe buona e sarebbe di destra: mettere il merito al centro della formazione degli italiani. Per il ministro Giuseppe Valditara un obiettivo che più identitario non si può, a costo di dover combattere con ogni tipo di resistenza sindacale e di sistema. E non a caso si è fatto subito sentire Giuseppe Buondonno, responsabile scuola di Sinistra Italiana: «Prima si chiamava Ministero della pubblica istruzione, poi è sparito l'aggettivo e ora la destra lo chiama Istruzione e merito. Continua la deriva, probabilmente avrebbero voluto chiamarlo "Istruzione, merito e selezione naturale", ma avranno pensato che è troppo presto per scoprire le carte». La Cgil, in piazza con Cisl e Uil per la sicurezza sul lavoro, oer ora rimane prudente. Ma il suo saluto è tutto un programma: «Giudicheremo il governo per quello che farà - dice il segretario Maurizio Landini -. Ci aspettiamo di essere coinvolti e che prima di prendere le decisioni discuta sindacati e mondo del lavoro».
C'è poi il fuoco amico di Piombino, dove il sindaco è di Fratelli d'Italia. Ieri alla neo premier è arrivato l'appello dei comitati di cittadini che si oppongono al rigassificatore che chiedono di proporre al commissario Eugenio Giani «di sospendere ogni determinazione», che in realtà è già stata presa. E questo è un altro tema da destra: quello di governare eliminando il rischio di essere costantemente sotto il ricatto degli interessi locali o privati, costi quel che costi. Serve determinazione e forse anche qualche nuova legge. Per quanto riguarda Confindustria, qui non ci sono barricate, non è lo stile della casa, particolarmente allenata a essere sempre governativa. Il presidente Bonomi si è ieri limitato a ribadire che le priorità sono quelle dei costi dell'energia e che per famiglie e imprese serve abbassare subito il cuneo fiscale.
Ma si sa anche che le ipotesi di flat tax e di flessibilità pensionistica piacciono né punto né poco a Confindustria. Per un governo di destra che ha entrambe le cose nei suoi programmi, quello con gli industriali è un fronte in più sul quale, fin da subito, va segnato il territorio.
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