A giudicare dalle cronache - che traboccano di scandali - gli italiani sarebbero il popolo più disonesto al mondo e maggiormente esposto alla corruzione. Ma, poi, se si va in profondità, si scopre che non lo sono e che non ne hanno neppure le attitudini. Vale, piuttosto, il proverbio secondo il quale è l'occasione che fa l'uomo ladro. La ragione è politica. L'Italia, è, in realtà, il Paese al mondo in cui il rapporto fra società civile e società politica è - grazie al corporativismo fascista, mai debellato, e all'imitazione dell'analogo modello sovietico - più stretto che altrove e la collusione fra politica e affari è più alta. Quando la politica si occupa troppo di soldi, che sono poi i veri affari della società civile, è inevitabile che qualcuno cada in tentazione e ne approfitti. Il difetto sta nel manico. Se ne sono occupati molti, ma senza cavare un ragno dal buco.
Il Paese ha confidato in Matteo Renzi, che si era ripromesso di cambiarlo, e ancora sostiene che lo sta cambiando, ma non è vero. La delusione è stata, ancora una volta, superiore alle aspettative suscitate dalla promessa di riforme non fatte. Il fallimento del renzismo, come in precedenza sono falliti tutti quelli che si erano ripromessi di riformare il sistema politico, i suoi rapporti con la società civile e di porre mano alle ragioni strutturali degli scandali. Se Renzi non fosse quell'affabulatore che è, capace solo di promettere cambiamenti radicali per poi non fare niente, avrebbe già provveduto, realizzando quelle riforme che promette e non fa, nei suoi stessi interessi. Gli scandali continuano a fioccare e a occupare le cronache, ma rimedi non se ne vedono neppure all'orizzonte.
Le origini della situazione risalgono al Secondo dopoguerra, alla Costituente e alla stessa Costituzione. Alla vigilia della caduta del fascismo, gli italiani erano unanimemente antifascisti, cioè sudditi di un regime corrotto e corruttore. Caduto il fascismo, approvata una Costituzione pasticciata frutto di un compromesso fra il vecchio regime, le nuove aspettative e il modello sovietico cui guardavano con simpatia i comunisti - che confondono la sfera privata e quella pubblica - gli italiani sono rimasti, nelle abitudini, fondamentalmente fascisti (leggi corporativi) e il sistema politico repubblicano non è cambiato di molto, salva l'introduzione di elementi mutuati dal comunismo sovietico che hanno peggiorato la situazione. Il Paese rimane sostanzialmente corporativo e - non avendo separato la politica dagli affari (i soldi) - come tale funziona. I media, dalla tv ai giornali, non esplorano il sistema politico, denunciandone le carenze, e si limitano a fornire ai loro editori il sostegno per incrementarne, direttamente o indirettamente, i difetti.
Avremmo bisogno di una grande riforma che sostenesse e salvaguardasse l'autonomia della politica dalla società civile, e la società civile dalla politica. Invece, col '68, tutto, grazie ad un equivoco tutto di sinistra, è diventato, per definizione, più politico, demandando alla politica di rimediare ai propri difetti, che è come se il tacchino festeggiasse il Natale, ignorando che lo si festeggia mettendo in pentola proprio il tacchino.
Il renzismo si sta rivelando - per gran parte degli italiani che lo hanno sostenuto, e ancora lo sostengono - una grande delusione. L'ex sindaco di Firenze, una volta a Palazzo Chigi, si è rivelato ciò che denunciano le sue origini: un reduce della Prima Repubblica, un ex democristiano di sinistra, non sufficientemente attrezzato, come i suoi predecessori, a metter mano alla riforma dello Stato, o a mettercela solo per accrescere il proprio potere personale, che è il classico cane che si morde la coda. Continua a dire che sta cambiando l'Italia, ma è difficile credere non siano solo promesse di sapore elettorale, per tenersi stretti gli italiani che ancora lo voterebbero, malgrado i fallimenti. Dal dopoguerra, il Paese ha avuto solo due veri riformatori - Alcide De Gasperi e Luigi Einaudi - trasformando rapidamente quelli che si proponevano di esserlo, una volta al governo, in politici della vecchia maniera (tutta politica e affari). Renzi non si discosta dal modello e contare su di lui per la riforma e la modernizzazione del sistema politico e dello Stato è solo pura illusione, fittiziamente alimentata dai suoi sproloqui. In un Paese normale, non resterebbe che sperare in un cambiamento di rotta alle prossime elezioni. Ma, cari lettori, statene certi che non ci sarà.
I cambiamenti, da noi, sono sempre una promessa non mantenuta, e Renzi non fa eccezioni. A questo punto, i miei quattro lettori avranno capito perché io non voto. Perché, chiunque vada al governo, il sistema politico all'interno del quale opera è bacato dal di dentro e causa del trasformismo avvenuto nel 1945, se non addirittura durante la Resistenza, nell'illusione che qualcosa cambiasse, anche se non se ne cambiavano le premesse strutturali, affinché, poi, non cambiasse nulla. Il fallimento della classe politica andata al potere con la Resistenza è tutto qui. Sono stati promessi cambiamenti epocali, e Renzi continua a farlo, ma poi non li si fa, perché gli interessi reali coinvolti sono troppi e troppo influenti perché non ci sia qualcuno che metta il bastone fra le ruote dell'ipotetico cambiamento. Ci portiamo addosso la struttura sociale che aveva dato vita al fascismo nel 1922 e lo ha alimentato fino al 1945. Se non cambia la società civile e non mutano i suoi rapporti con la politica, non se ne esce.
Davvero ci sono ancora molti italiani convinti che Renzi faccia il miracolo riformista? Andiamo, non facciamo ridere. Che questo reduce della Prima Repubblica faccia le riforme che ha promesse è una illusione a cui solo, ormai, i suoi restanti sostenitori credono.piero.ostellino@ilgiornale.it
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