Storia di acido muriatico, Bocconi, passione, follia. Storia laddove si apprende con chiarezza che non sono solo gli uomini a diventare feroci troppo facilmente. E che non sono solo i poveracci a perdere il ben dell'intelletto per amore: anche nella Milano bene, i conti si regolano sfigurando il prossimo.
Punto d'approdo della storia: aula delle direttissime del tribunale di Milano, all'una di ieri. Lei, sul banco degli imputati, non sembra giustificare grandi passioni: magra, smunta, golfino color qualunque. Il fidanzato, chiuso in gabbia, gnoccolone scapigliato da uno e ottanta. Lui sta zitto, e ha la faccia di uno che medita sul guaio in cui si è infilato, domandandosi se ne valeva la pena. Lei invece parla, parla fin troppo, confessa, si piglia pure le colpe dell'altro. Ma sapeva cosa faceva quando ha tirato l'acido in faccia alla vittima? «Si certo che mi rendevo conto!» E l'ha fatto ugualmente? «Si l'ho fatto!», ed è come se il punto esclamativo echeggiasse in aula.
Il delitto avviene l'altra sera in via Giulio Carcano, vicino al Navilglio Pavese. La coppia attira con un trucco la vittima designata: Pietro Barbini, ventidue anni, figlio di famiglia assai bene, cervello in fuga che sta a Boston, ma è tornato a Milano per la vacanze. Pietro e Martina da ragazzi andavano al Parini, il liceo della borghesia cittadina più supponente. Stavano insieme, poi come è naturale le strade si sono divise. Lui è andato in America, lei si è iscritta alla Boccioni e si è trovato come amico il tipaccio biondo che si chiama Alex Boettcher, tedesco di Munster, che in Italia non si capisce bene che lavoro faccia, dice di lavorare in Borsa per una immobiliare, ma da quando le immobiliari operano in Borsa? Di certo si era candidato alle ultime regionali nelle liste di Giulio Tremonti. Il tedesco comunque è uno che si dà da fare, oltre alla fidanzata ha una moglie e oltre alla casa un piedaterre o scannatoio che dir si voglia. Nello scannatoio, cisono dei bisturi, perché il biondo pare che usi marchiare le ragazze che si porta a letto. Una A, come Amore, adorna anche la guancia di Martina.
É lui che plagia lei? Sì, sembra di sì. E la colpa di Barbini è quella di metterla in guardia, di cercare via mail di riportare la sua ex coni piedi per terra? Parrebbe di sì. Di certo il risultato è l'opposto. Invece che abbandonare il tipaccio Martina lo coinvolge o si fa coinvolgere in un piano per punire Barbini. Punire per cosa? Per avere cercato di salvarla? Si, forse proprio da questo. Lo convocano per la consegna di un pacco, il ragazzo che qualcosa ha subodoratro si presenta col padre. Si fanno trovare incappucciati, lui ha un martello, lei il flacone dell'acido. Glielo tira in faccia, Barbini urla, il padre riesce a bloccare il tedesco, lei fugge ma il cappuccio le scivola via. La arrestano poche ore dopo. Nella garconniere di Boettcher la polizia trova il resto dell'acido.
Barbini è in ospedale, terapia intensiva, ustioni di terzo grado, prognosi sessanta giorni, forse resterà segnato. Ieri in aula il pm Marcello Musso e il giudice Lorella Trovato cercano di farsi largo nei meandri del delitto. Martina chiede la parola, è sicura, quasi spavalda. Ammette tutto, cerca a dispetto di ogni evidenza di scagionare Alexander, «era lì anche lui ma non l'ho visto, non so spiegarmi». É una «fragile», una «disturbata», come dicono i difensori? O è una specie di dark lady? Qualche mese fa un altro ragazzo la denunciò dicendo che aveva cercato di castrarlo, ma lei in aula ieri cade dalle nuvole, «di questa denuncia non so nulla».
Alla fine il giudice convalida gli arresti, spedisce gli imputati in galera e rinvia tutto all'8 gennaio: e nel frattempo la polizia accerterà se qualche legame ci sia con altri agguati all'acido compiuti negli ultimi mesi a Milano, da ultimo un altro studente di economia, aggredito senza un perché a Quarto Cagnino. Seduti su una panca i genitori di Martina, facce da gente semplice e perbene, si torcono le mani.
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