Il cosiddetto «vincolo esterno» - ovvero l'obbligo di attenersi ai parametri europei di buona amministrazione - non funziona più come correttivo dei vizi nazionali, ma finisce con incoraggiarli. Il sostegno finanziario che la Ue fornisce alle economie in crisi, in nome della moneta unica, è una ciambella di salvataggio sulla quale i Paesi poco virtuosi sanno di poter contare nel caso in cui la loro cattiva gestione ne metta in crisi la stabilità economica e finanziaria. Esso finisce così col rappresentare, invece di un incoraggiamento alle virtù della buona politica, un incentivo ai vizi di quella cattiva. Il «caso greco» è, sotto questo profilo, paradigmatico e quello incipiente dell'Italia non è da meno.
Il processo di unificazione europea ha fatto lo stesso itinerario già percorso dagli Stati nazionali dopo la loro nascita: centralizzazione e burocratizzazione del processo decisionale che si accompagna a una ricerca del consenso attraverso progressivi incrementi della spesa pubblica. Le direttive europee, prodotte da una sovrastruttura ideale, non realistica, quale è il sistema decisionale nato con la moneta unica, fanno spesso iniezioni burocratiche nei già molto burocratici sistemi nazionali, incrementandone i difetti, invece di curarli o quanto meno, evitarli. È la prova fattuale del fallimento dell'Europa, dovuto alla degenerazione del suo processo di unificazione sviluppatosi sul modello negativo degli Stati nazionali.
Il carattere centralistico ed eminentemente burocratico del processo decisionale europeo è la sola forma che la cultura politica operante - mutuata dall'Unione Sovietica e dal socialismo reale nell'immediato dopoguerra nella convinzione fossero il superamento del capitalismo e il correttivo degli eventuali difetti del mercato e dei suoi possibili fallimenti - sa dare ad ogni tentativo di unificazione di un organismo politico. Il fallimento dell'Europa è il fallimento di una concezione politica, quella dirigista secondo la quale spetti al potere politico centrale anche la gestione dell'economia.
La creatività, che aveva contraddistinto il pensiero politico dell'Illuminismo e che aveva generato lo Stato moderno, si è spenta col progredire degli Stati nazionali. È prevalsa, con la Rivoluzione francese, un'idea della politica democratica come ricerca ad ogni costo del consenso e della legittimazione popolare che ha comportato costi burocratici elevati e il costante rischio di fallimento finanziario delle entità statuali. Con la crisi greca e l'incipiente crisi dell'Italia, la politica è arrivata al capolinea.
O nasce un nuova forma di illuminismo, attraverso un ripensamento del ruolo della politica nelle società contemporanee, o non si esce dalla crisi della politica, dell'Europa e della sua capacità di adeguamento alle circostanze e di innovazione istituzionale.piero.ostellino@ilgiornale.it
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