Come le bugie, anche le spacconate hanno le gambe corte. Il caso di Luigi De Magistris è esemplare. Raramente si è visto un vanitosone ridimensionato in tempi così straordinariamente brevi come sta accadendo all’ex pm. Eletto sindaco di Napoli il 1˚ giugno, hamessomano al problema dei rifiuti intorno al 18 del mese e ora, una settimana dopo, la città ne è sommersa. Mai, i n tutti questi anni, avevamo visto immagini così terzomondiste di un luogo considerato tra i più affascinati d’Italia.
Promettendo a vanvera, Gigi ’O flop - soprannome conquistato per i fiaschi giudiziari e confermato nell’esordio da sindaco - ha infinocchiato il 65,37 per cento dei votanti napoletani e si è fatto eleggere. Era notoriamente uno smargiasso e i commentatori più prudenti non avevano mancato di farlo notare. Ma i napoletani erano disperati, uscendo dal vuoto decennio di Rosina Russo Iervolino e il ventennio di impicci di Antonio Bassolino. Così si sono lasciati incantare da questo bel ragazzone quarantatreenne, loro concittadino, che prometteva mari e monti con la retorica da capopopolo che accalappia immancabilmente i frustrati. Facendo leva sul passato di pm, De Magistris ha dichiarato che avrebbe riportato la legalità nella città della camorra. È stato questo il primo inganno verso gli elettori, attribuendosi una funzione estranea al ruolo di sindaco. Un primo cittadino può senz’altro essere onesto, ma il suo rapporto con la legalità finisce lì. Combattere la criminalità spetta ad altre autorità e il politico può al più tifare perché il bene trionfi sul male.
A un sindaco, soprattutto di Napoli, spetta altro. Fare rifiorire una città asfittica, ridare slancio all’economia, riportare l’industria, fare lavorare il porto, attirare turisti, riportare la decenza nelle strade che la tragicommedia dell’immondizia le ha strappato via. Nessuna di queste competenze è nel dna di De Magistris. I segni premonitori della sua insufficienza c’erano tutti, ma i napoletani li hanno trascurati per abbandonarsi ai suoni dell’imbonitore e chiudere gli occhi sulla reale personalità del loro pupillo. Primo effetto di questa cecità, è la débâcle di queste ore sul fronte dei rifiuti che mette una pesante ipoteca sui cinque anni che Gigi ’O flop ha davanti a sé. De Magistris è stato per quindici anni pm durante i quali ha prodotto più buchi nell’acqua lui che la primavera margherite. Caratteristica delle sue inchieste è stata la spettacolarità, simile in ciò al concittadino Woodcock. Ha incriminato centinaia di personaggi del jet set, insospettabili dei salotti, grandi nomi della politica.
Innumerevoli gli avvisi di garanzia, gli arresti, le sofferenze. Nessuna delle indagini di ’O flop è però andata in porto. Una volta gli è stata tolta l’inchiesta per irregolarità, un’altra è finita nel nulla, con una terza è stato accusato dal gip di avere montato fuffa per andare in tv e così via. De Magistris tuttavia - ed è un aspetto importante della sua indole - non ha mai ammesso sbagli. Ha invece sempre accusato i poteri forti, compresi i suoi colleghi, di averlo bloccato. Si è fatto vittima e ha indotto i suoi elettori a crederlo. C’è chi fa la spia e chi incolpa gli altri. De Magistris è della seconda specie. Succede pure in queste ore quando accusa non meglio precisati «sabotatori » e il solito Cav di impedirgli di raccogliere i rifiuti. Le sue difficoltà sono quelle dei suoi predecessori e la Rosina, per esempio, le confessava candidamente.
Lui invece, finché si trattava di chiacchierare in campagna elettorale, le dava dell’inetta, sproloquiando di ricette magiche per risolvere il problema: raccolta differenziata al 70 per cento, compostaggio, niente discariche, niente termovalorizzatore e altre amenità ecologistiche. E invece eccolo lì impantanato come un qualsiasi Bassolino d’annata. Da quanto detto su ’O flop, due lezioni: uno che sbaglia spesso va preso con le pinze, perché sbaglierà di nuovo; diffidare sempre di quelli che danno le colpe agli altri, sorvolando sulle proprie, perché in lui cova il germe della truffa. C’è un altro aspetto di De Magistris che avrebbe dovuto mettere in sospetto i napoletani prima di eleggerlo: predica bene e razzola male. O meglio, pretende dagli altri quello che esclude per sé.
In questo, identico a Totò Di Pietro, suo capo partito. ’O flop è uno di quei moralisti, o legalisti fasulli che, pensando al Cav, dicono che i politici devono rifiutare privilegi giudiziari o anche, per variare, che ci si deve difendere «nel» processo e non «dal» processo. Ebbene, ogni volta che avrebbe dovuto affrontare le aule giudiziarie si è rifugiato nei privilegi della casta. È successo anche con Clemente Mastella che lo aveva querelato per qualche dichiarazione insultante. Per non pagare lo scotto, il virtuoso ’O flop non si è fatto scrupolo di nascondersi dietro l’immunità del Parlamento Ue, dove sedeva fino a qualche mese fa. Allo stesso espediente avevano già fatto ricorso D’Alema e Di Pietro, ma una volta a testa. Il Nostro, invece, si è consentito una tripletta.
Aggiungo che se anche non fossero note le cose fin qui elencate, avrei gettato la scheda alle ortiche piuttosto che dargli il voto solo per la millanteria con cui si è candidato. Ha definito «entusiasmante e rivoluzionaria » la sua apparizione sulla scena napoletana. Ha spiegato di essersi impegnato dopo avere sentito dentro di sé - come Sant’Ignazio - «una voce» che gli diceva: «Tocca a te, rappresenti l’uscita d’emergenza».
Accolto l’invito celeste, ha perso i freni inibitori e ha detto in un comizio: «Faremo una battaglia politica per Napoli, per il Sud, per l’Italia, per il Mediterraneo. Apriremo le porte dei palazzi per fare uscire il puzzo del compromesso e fare entrare il profumo della libertà». Era il suo modo di annunciare agli elettori i miasmi in cui li avrebbe sepolti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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