Lultima lieve venatura di dubbio, ieri, si è colorata di certezza: lo stupratore seriale capitolino ha il volto che tutti conoscono ormai da un po, quello del ragioniere 33enne Luca Bianchini. La conferma è arrivata dal secondo test del Dna, lo stesso che luomo ha chiesto e richiesto nei giorni scorsi spezzando il silenzio del carcere di Regina Coeli per gridare la sua innocenza. Lo stesso che, prevedibile ironia della sorte, ora lo inchioda di fronte alle sue responsabilità: il codice genetico è compatibile con quello del primo prelievo e, soprattutto, con le tracce di liquido seminale trovate sugli indumenti delle sue vittime. Tre donne, almeno questo è il numero accertato per il momento, cadute in una trappola a forma di garage, circondata da una periferia capitolina inerme e, forse, troppo abbandonata a un destino spoglio di senso compiuto.
Cè di più: oltre al riscontro reso possibile dal tampone salivare eseguito lunedì, sono spuntate delle impronte di Bianchini trovate su una striscia di scotch con cui ha imbavagliato lultima malcapitata, a Tor Carbone, nella notte tra il 2 e il 3 luglio. Due prove inattaccabili dunque e non più soltanto indizi, che ieri hanno fatto sbottare di rabbia e dorgoglio più di qualcuno nelle stanze squadrate della Questura romana. Dove la voglia, forte, era quella di togliersi un paio di nauseanti sassolini dalla scarpa: «Chi ha gettato ombre sulla correttezza del nostro lavoro - hanno fatto sapere, chiedendo in cambio lanonimato - evidentemente si sbagliava. E ora farebbe bene a riconoscerlo».
Cosa succederà adesso? La partita a scacchi tra difesa e accusa è appena cominciata, sebbene la procura, è evidente, si trovi in sostanzioso vantaggio. In attesa dei risultati delle altre consulenze tecniche già disposte, eseguite sugli abiti, le scarpe da ginnastica, il computer e le fascette da elettricista sequestrate nellabitazione del presunto maniaco, potrebbe essere chiesto il giudizio immediato. Ovvero si salterebbe ludienza preliminare e si passerebbe direttamente al dibattimento, rendendo liter che porta a una sentenza di primo grado senzaltro più spedito. Molto dipenderà da cosa si muoverà sullaltro fronte, lungo il quale ragionano i due penalisti Giorgio Olmi e Bruno Andreozzi. Potrebbero propendere per il rito abbreviato, ottenendo così lo sconto di un terzo della pena, che non sarebbe poco. Oppure, è più verosimile, potrebbero invocare linfermità mentale del loro assistito, che con questo espediente già si è salvato dal carcere nel 1997, quando fu accusato di avere violentato una vicina di casa.
Stavolta è diverso, il quadro è complicato e le accuse parecchio pesanti, non circoscrivibili al raptus fugace di un momento, ma è difficile escludere la possibilità di una perizia. «Potremmo chiederla per verificare quali sono le condizioni mentali di Bianchini», ha confermato ieri pomeriggio Andreozzi, uno dei suoi legali.
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