PSEUDONIMI Carte di falsa identità

Viaggio letterario fra gli scrittori «mascherati» per necessità, pudore o vezzo estetico. E anche in nome del marketing

Un nuovo gioco si aggira per le librerie e le scrivanie delle case editrici del nuovo mondo globalizzato. Si chiama «prendi un libro, meglio se un thriller fantafilosofico, nascondi l’identità del suo artefice dietro uno pseudonimo e lancialo sul mercato come “il nuovo caso editoriale scritto da un autore che vive nel più assoluto anonimato”». Se il giocatore, ossia l’editore, è esperto quanto basta, il risultato, ossia le vendite, è quasi assicurato.
L’ultimo giro di carte al tavolo da gioco mette ora sul piatto il fantomatico John Twelve Hawks («nessuno sa chi si nasconde dietro questo pseudonimo» assicura e rassicura il comunicato stampa) con il suo fantathriller Il viaggiatore (Mondadori). In questo caso il gioco è fin troppo palese e dichiarato, con quel «Giovanni Dodici Falchi» a occultare nome, cognome e numero di matricola (come dicono i militari catturati nei film di guerra), ma negli ultimi anni l’astuzia e la sagacia dei giocatori hanno saputo regalarci casi ancora più eclatanti. Se dagli Usa arriva planando Mister Twelve Hawks, il Belpaese può per esempio replicare offrendo con dovizia Paul Gifts, in lingua volgare Paolo Doni (dietro il quale si celerebbe il giornalista Giuliano Zincone), con la sua nostalgia canaglia della Capri che fu e la sua novella Lolita a infittire le pagine di Ci vediamo al Bar Biturico (Guanda).
Twelve Hawks e Doni, chiunque essi siano, si trovano comunque in ottima compagnia, ultime leve di un esercito, quello degli pseudonimi letterari, che marcia inesorabile da secoli. Un corpo d’armata che può essere spartito in almeno sei divisioni, ognuna con le sue caratteristiche. La prima ospita gli pseudonimi che hanno vampirizzato l’identità anagrafica reale. Henry Beyle, Amandine Aurore Lucie Dupin, Rina Faccio, Ettore Schmitz, Charles Lutwidge Dodgson dicono qualcosa solo agli specialisti, per tutti ormai sono Stendhal, George Sand, Sibilla Aleramo, Italo Svevo, Lewis Carroll...
La seconda divisione raggruppa quelli che potremmo definire i prestanome: il guitto William Shakespeare avrebbe offerto la copertura ideale, secondo alcuni, al Conte di Oxford, o magari a Sir Francis Bacon, al Conte di Derby piuttosto che a Sir Walter Raleigh, comunque tutti personaggi di troppo alto rango per poter figurare come autori di vile teatro.
La terza divisione è formata da due brigate: nella prima, trovano spazio gli scrittori già celebri che adottano gli pseudonimi per sperimentare nuove strade (negli anni Settanta Stephen King decise di firmare alcuni romanzi come Richard Bachman. Alcuni anni dopo Bachman morì per «cancro allo pseudonimo») o per sfamarsi, all’inizio della carriera, con una produzione di genere (thriller, rosa, porno...): Paul Auster si firmò Paul Benjamin nel pubblicare Gioco suicida (da poco edito da Einaudi), mentre Georges Simenon, prima di creare Maigret (1931) aveva già dato vita a diciassette pseudonimi, da George Sim a Jean du Perry, da JK Charles a G. Vialo e così via. La seconda brigata è guidata dall’accademico di Francia Jean Paulhan, dal canto suo, si celò dietro il nom de plume di Pauline Réage nel dare alle stampe L’Histoire d’O. Non si possono non citare, infine, Andrzej Jawien, Stanislaw A. Gruda, Piotr Jasien, autori fittizi, negli anni Quaranta del secolo scorso, di testi teatrali scritti in realtà da Karol Wojtyla.
La quarta e la quinta divisione hanno tratti in comune: in una è accampato chi si cambia nome in un estremo omaggio ai suoi miti, letterari e non solo. Thomas Pynchon, il Pincio e altro ancora forniscono quindi gli spunti a Marco Colapietro per dar vita a Tommaso Pincio; Robert Allen Zimmerman è talmente infatuato di Dylan Thomas da trasformarsi in Bob Dylan e così via. Vi è anche chi ricorre all’eteronimo in base a una precisa strategia, filosofica e stilistica: Sören Kierkegaard e Fernando Pessoa sono, volta a volta, Johannes Climacus o Victor Eremita, Bernardo Soares o Ricardo Reis «non per una ragione casuale ma per una ragione essenziale nella stessa produzione», come scriveva il filosofo danese.
Infine, e qui il cerchio si chiude, ecco gli adepti dello pseudonimo duro e puro, quello da difendere (e far monetizzare) il più a lungo a possibile. Se gli statunitensi possono sbandierare il fresco di conio Twelve Hawks o l’ormai svalutato e screditato J.T. Leroy, l’Italia può mettere in campo, dagli anni ’70 a oggi, Rocco e Antonia (Porci con le ali, 1976), Marco Parma (Sotto il vestito niente, 1984), Luther Blissett (poi evolutosi in Wu Ming), Elena Ferrante, Hans Tuzzi, Melissa P. (Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire, 2003), il citato Paolo Doni. Di questi, alcuni sono stati scoperti dalla stampa - il binomio Rocco e Antonia celava Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera -, altri hanno di loro volontà gettato la maschera dopo qualche tempo: Marco Parma è il giornalista Paolo Pietroni, Melissa P. la giovane Melissa Panarello, Hans Tuzzi il bibliofilo e docente universitario Adriano Boni.
Se Luther Blissett/Wu Ming nasce come bufala mediatica molto post moderna e molto intellettuale (o forse intellettualistica), resistono strenuamente, per ora, alle indagini Elena Ferrante (sarà Domenico Starnone? O è Goffredo Fofi? le domande-risposte ricorrenti) e Doni, che nell’intervista-lancio al Corriere della Sera Magazine si trincerava dietro un «temo che alcune cose narrate, corna, libidini, cupezze e amarezze coniugali siano scambiate per fatti autobiografici».
Corna, libidini, cupezze e amarezze coniugali... svelati o meno, questi autori mostrano tutti di avere a cuore le stesse tematiche, sintetizzabili nelle tre famose S del giornalismo e del bestseller internazionale: Sesso, Sangue e Soldi. Parma e Doni largheggiano nelle descrizioni sessuali in ambienti ricchi e dannati, tra i ruggenti anni Ottanta milanesi e Capri, tra modelle disinibite e cumenda al sole. Melissa P. ci mette la pruriginosa vita sessuale, assai poco repressa a quanto sembra, di Catania. Percorre strade più disagiate, sempre nei suoi ritratti di donne in crisi, la Ferrante: l’incesto (L’amore molesto) o la fuga del marito in crisi di mezza età (I giorni dell’abbandono).
Sull’altro versante, Tuzzi (Il maestro della testa sfondata, Perché Yellow non correrà, Tre delitti un’estate, Come il cielo sull’Annapurna, tutti pubblicati da Sylvestre Bonnard tra il 2002 e il 2005) e Blissett/Ming mescolano il giallo con la bibliomania e l’escursione storica ad ampio raggio e tingono le pagine del rosso necessario.
Casualità o accorta strategia di marketing editoriale? Doping librario o spirito del tempo? In attesa di risposte definitive, il consiglio, agli scrittori, è di stare attenti quando trafficano con gli pseudonimi.

Come King (La metà oscura) e Peter Carey (Falso d’autore, Frassinelli) insegnano, lo pseudonimo incautamente creato un giorno potrebbe assumere vita propria e rinfacciare al suo ideatore, come Adamo nel Paradiso perduto miltoniano: «Ti avevo chiesto io, mio Creatore/ di modellarmi dal fango in forma d’uomo,/ ti ho mai sollecitato/ a trarmi dalle tenebre?».

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