Pugili presi a pugni dal destino Million Dollar Baby e altre storie

Eastwood ha tratto il suo film superpremiato da una delle storie del volume

Carlo Faricciotti

F.X. Toole, l’autore di Million Dollar Baby-Lo sfidante, in edicola da oggi con il Giornale a 5.90 euro, si chiamava in realtà Jerry Boyd ed era nato nel 1930. Come racconta lui stesso nell’introduzione al volume - una raccolta di racconti tra cui quello che dà titolo al libro e da cui Clint Eastwood ha tratto l’omonimo film premiato nel febbraio di quest’anno con quattro Oscar - «Sono arrivato alla boxe per scelta e per caso nella seconda metà dei quarant’anni».
A un’età in cui la maggior parte dei pugili, se ancora vivi e in grado di ragionare, fa già altro, Toole parte dal primo gradino: come un aspirante qualsiasi, frequenta una squallida palestra «frequentata da falliti» a Ocean Park, in California. «Coi capelli bianchi e venticinque anni di sbronze sulle spalle, uno per cui la droga ideale dalle tre del mattino fino all’alba era la compagnia di una femmina», Toole inanella allenamenti, incontri, qualche successo. Fino al 1988, quando un infarto e complicazioni assortite lo spingono definitivamente all’angolo. Diventa un ottimo assistente, quello che in gergo si chiama «fermasangue»: deve arrestare le emorragie che irrorano di sangue il viso dei pugili per permettere loro di continuare a farsi massacrare sul ring senza che gli arbitri li fermino.
A quasi settant’anni, un’altra folgorazione: la scrittura. Come Ernst Hemingway, Toole scrive di boxe e di pugili senza grande talento e senza futuro; a differenza di Hemingway, non ha mai praticato la boxe per hobby, per dimostrarsi macho, o perché il grande scrittore americano deve ingozzarsi di realtà prima di scrivere. Toole scrive di boxe per caso: «Rope Burns (letteralmente, La corda brucia, titolo originale del volume) è nato per caso - spiegava in un’intervista del 2001 -. Non avevo mai pensato di scrivere un libro con dei racconti, di boxe o meno. Semplicemente, avevo cominciato a scrivere. Avevo iniziato un romanzo, con una trama completamente diversa, e queste storie hanno iniziato a sbocciarmi in testa. Avevo imparato anni prima che quando una storia viene fuori, bisogna scriverla».
Il risultato, i sei racconti raccolti in Million Dollar Baby-Lo sfidante, per dirla con un altro esperto di dannati metropolitani, James Ellroy, è «il miglior libro di racconti di boxe mai scritto. Toole è il brillante figlioccio di Sonny Liston, è un pit bull rabbioso. Questo libro è un inno alla ferocia del desiderio e della sconfitta».
I sei racconti sono una costellazione di storie sconsolate, narrate con partecipazione, come fossero state vissute in prima persona. In Un’aria da scimmia un disincantato «fermasangue» si ritrova in Messico nell’angolo di Hoolie, pugile con il carattere spigoloso e tagli che sanguinano troppo. L’ebreo nero rievoca la rovinosa sconfitta e l’umiliazione del manager Reggie Valentine Love e del suo pugile, cittadini di seconda classe ad Atlantic City. La ragazzina da un milione di dollari è il dramma di Maggie Fitzgerald, che voleva salire sul ring, e del suo attempato allenatore, Frankie Dunn. Combattere a Philly e Acqua ghiacciata testimoniano i sogni di gloria e di riscatto di due ragazzi alle prese con la dura realtà del ghetto. Lo sfidante è l’appassionata testimonianza del rapporto che si crea tra un allenatore e il suo pugile.
Come ha scritto The New York Times Book Review, «La prosa di Toole è affilata e potente come un jab. Quando è al suo meglio ti prende con il ritmo di un buon pugile che si allena in palestra con il punching ball». Uno stile scabro, essenziale, pieno di pietà per i vinti, valorizzato al meglio dalla regia asciutta, «classica», di Eastwood nel suo bellissimo e struggente film.


Un film, come dicevamo all’inizio, aureolato da quattro Oscar (miglior film, miglior regia, miglior attrice protagonista: Hilary Swank, miglior attore non protagonista: Morgan Freeman) su sette nomination. Un trionfo cui Toole non poteva più assistere: il 2 settembre 2002 aveva gettato la spugna in maniera definitiva.

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