Quei 18 anni in aeroporto diventati un film di Spielberg

Mehran Nasseri, respinto alle frontiere, è stato costretto a vivere in una sala d'aspetto. La sua odissea ha ispirato «The Terminal»

Grazie a Hollywood è diventato l'apolide più famoso degli ultimi decenni: Mehran Karimi Nasseri, classe 1942, ha vissuto per 18 anni nella sala partenze del Terminal 1 dell'Aeroporto Charles de Gaulle; la sua autobiografia è diventata un film, The Terminal, diretto da Steven Spielberg e con Tom Hanks come protagonista. La vicenda che lo riguarda è un concentrato estremo e dai contorni quasi paradossali di tutti i problemi legati alla vita dei «senza Stato». Nasseri è nato in una zona petrolifera dell'Iran dove operava l'Anglo-Persian Oil Company, società petrolifera anglo-iraniana. Il padre era un medico di nazionalità iraniana impiegato per dare assistenza ai lavoratori del campo petrolifero, la madre un'infermiera scozzese. Negli anni Settanta studia in un'università inglese, poi torna a Teheran; da qui in poi la sua storia si ingarbuglia. Secondo quanto lui stesso ha raccontato, nel 1977 viene espulso e privato della cittadinanza per la sua opposizione al regime dello Scià; fugge in Europa e riesce a ottenere lo stato di rifugiato politico in Belgio. Nell'agosto del 1988 decide però di trasferirsi in Gran Bretagna. Arrivato all'aeroporto di Parigi il disastro: perde i documenti che testimoniano il suo passato (secondo un'altra ricostruzione è lui stesso, in un momento di disorientamento, a distruggerli). Prende ugualmente l'aereo ma viene respinto dalla polizia inglese a Heathrow e rimandato a Parigi, visto che non è in grado di dimostrare di essere davvero figlio di una cittadina britannica. Il Belgio, da parte sua, rifiuta di riaccoglierlo perché, in base alla legge, il rifugiato politico che si allontana volontariamente dal territorio belga perde ogni diritto. Nemmeno la Francia vuole sentirne parlare. Nel 1992 un tribunale stabilisce che è entrato nel Paese legalmente e che per questo non può essere espulso, tanto più che non si saprebbe nemmeno dove mandarlo. Allo stesso tempo, però, non ha nemmeno il diritto di essere ospitato nel territorio della Repubblica. Rimane sospeso in una terra di nessuno, fisica e giuridica. Così, tra un ricorso giudiziario e l'altro la sua casa diventa una sala d'aspetto dell'aeroporto: legge, scrive un diario, studia testi di economia. A mantenerlo le offerte dei viaggiatori e dei gestori dei negozi del terminal, qualche pacco della Croce Rossa. Intanto, però, è diventato famoso: insieme a un giornalista inglese scrive un'autobiografia, su di lui vengono girati diversi servizi televisivi e documentari. La società di Steven Spielberg gli versa 250mila dollari per poter fare del suo libro un film.

La svolta è del 2006: Nasseri ha un collasso e viene ricoverato per qualche mese in un ospedale parigino, poi, provvisoriamente, in un albergo non lontano dall'aeroporto. Tra il 2007 e il 2008 la Francia decide, per ragioni umanitarie, di ospitarlo in una casa-assistenza della cintura parigina. Ed è lì che Nasseri vive ancora oggi.AA

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