Quei magistrati tra elezioni e ribaltoni

Il ministro Castelli: servono nuove regole, candidarsi è un diritto ma chi lo fa non dovrebbe tornare indietro. Mezzo secolo tra escalation parlamentari, ritorni in servizio e clamorosi casi di trasformismo

Giuseppe Salvaggiulo

da Milano

I magistrati hanno diritto come ogni altro cittadino a candidarsi a cariche elettive, ma la particolare funzione pubblica esercitata dovrebbe impedire, una volta scelta la politica, di tornare alla carriera in toga. È questo il pensiero di Roberto Castelli, ministro della Giustizia.
Esistono «prerogative di natura costituzionale come quella del diritto di far parte dell’elettorato passivo - spiega l’esponente leghista intervistato su Radiouno - ma il problema aperto andrebbe affrontato e forse risolto dicendo che il magistrato che si impegna in politica deve poi impegnarsi a non rientrare più in magistratura».
«Da tempo - prosegue Castelli - sostengo, e non da solo perché su questo sono corroborato dalla stessa posizione del presidente Ciampi, che il magistrato, per la sua altissima funzione, non soltanto deve essere terzo e imparziale ma anche e soprattutto deve apparire tale. Purtroppo questo in Italia non accade, abbiamo troppo spesso esempi di magistrati che prendono forti posizioni di natura politica e la conseguenza è una diminuzione della fiducia che il cittadino ha nella magistratura». Castelli rimanda il problema alla prossima legislatura e chiede un impegno di tutti i partiti senza logiche di schieramento.
Massimo Brutti, responsabile Giustizia dei Ds, avanza una «soluzione intermedia. Qualche accortezza è necessaria: sarebbe opportuno che i magistrati non si candidassero nel territorio in cui esercitano l’attività giudiziaria. Quando rientrano, si potrebbe pensare che necessariamente debbano far parte di un collegio, in modo tale che l’attività non sia monocratica. Diversa la posizione di un magistrato che già da tempo è in pensione. In tal caso il problema non si pone».
Il tema non è nuovo. Quattro anni fa, Giulio Andreotti scriveva sul suo mensile Trentagiorni: «Nelle prime legislature repubblicane la presenza di magistrati in Parlamento è stata molto scarsa. E si trattava in genere di giudici ormai a riposo per limiti di età (gli Azara, i Pafundi) che richiamavano da vicino i senatori del Regno. Una eccezione fu Oscar Luigi Scalfaro che, da poco togato, si candidava nel 1948 alla Costituente e poi alla Camera per rimanere a Montecitorio fino alla sua elezione al Quirinale (con la automatica assicurazione successiva del laticlavio a vita)».
Se nel primo periodo dopo l’entrata in vigore della Costituzione i partiti tendevano a non arruolare magistrati in Parlamento, ben presto - ricorda Andreotti - «sia democristiani che comunisti ritennero opportuno acquisire l’esperienza diretta di magistrati». Cominciò così la «campagna acquisti», di pari passo con la politicizzazione della magistratura e l’avvento delle correnti al suo interno. La sinistra utilizzava il canale di Magistratura democratica, da cui proviene per esempio Luciano Violante. Eletto per la prima volta nel 1979 nel Pci, presidente della Commissione antimafia e della Camera. Il pretore d’assalto Gianfranco Amendola, noto per le inchieste ambientaliste, arruolato dai Verdi arrivò al Parlamento europeo. Ora è tornato in Procura.
Ma fu all’inizio degli anni ’90, nel furore della «rivoluzione giudiziaria», che i partiti si rivolsero con trasporto ai magistrati. Antonino Caponnetto, inventore del pool antimafia, era in pensione quando fu sedotto dalla Rete di Leoluca Orlando (poi se ne pentì). Il giudice genovese Adriano Sansa fece il sindaco con la sinistra, ora è presidente del Tribunale dei minori di Genova dopo aver vinto una dura battaglia con Castelli per quella nomina.
Tra i pochi a lasciare la toga per sempre, Antonio Di Pietro: prima ministro del governo Prodi, ora titolare di un partito tutto suo. Prima di lui, dal pool di «Mani pulite» si era catapultata in politica Tiziana Parenti, ma in polemica con i colleghi milanesi e nelle liste di Forza Italia (nel tempo è passata a Udeur, Sdi e Margherita). Percorso analogo a quello di Marianna Li Calzi. Anche Ermanno Iacobellis transitò nell’Udeur: era stato eletto con An.
Per le elezioni del ’94, il Csm ricevette 31 richieste di aspettativa: 24 per quelle di due anni dopo. In questa legislatura, i magistrati parlamentari sono 18, divisi a metà tra Unione e Cdl. Poi ci sono gli enti locali. Nel 2004 Michele Emiliano, pm barese nell’inchiesta sull’operazione Arcobaleno, è stato eletto sindaco per il centrosinistra.
Passata la sbornia di Tangentopoli, la trasmigrazione di magistrati in politica si è attenuata. Ma qualcuno che ci prova c’è sempre. Nel ’98, le polemiche sulla cura anti-cancro del professore Di Bella portano alla ribalta uno sconosciuto pretore salentino, Carlo Madaro.

Oplà: nel giro di un paio d’anni diventa consigliere regionale dell’Italia dei Valori, si cimenta senza successo alle Europee, poi salta il fosso e viene candidato presidente della Provincia di Lecce dal centrodestra. Ma perde. Siamo ai giorni nostri: Madaro torna nel centrosinistra e viene premiato con un assessorato provinciale.
Il diritto è mutevole, la politica di più.
giuseppe.salvaggiulo@ilgiornale.it

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