Quei rubli ignorati dai giudici

Q ualche anno fa l’onorevole Massimo D’Alema, in qualità di presidente della Fondazione Italiani europei, mi querelò insieme a Mario Cervi, allora direttore responsabile del Giornale, per il fondo «L’imbroglio mascherato» pubblicato il 27 luglio 2000 su queste colonne. In quell’articolo commentavo così la richiesta di denari avanzata dal leader comunista per la sua neonata fondazione: «Potrebbe sembrare un modo moderno di concepire il rapporto tra soldi e politica la richiesta avanzata da Massimo D’Alema alle cooperative rosse di mettere a disposizione alcuni miliardi per sostenere la Fondazione italianieuropei a mezzadria con imprenditori del calibro di Tronchetti Provera, Carlo De Benedetti, Marchini e Guidalberto Guidi... Ma così non è...».
Quindi nell’articolo evocavo sommariamente i diversi finanziamenti ricevuti dal Pci e, tra questi, anche quelli delle coop rosse di cui scrivevo: «Ormai nessuno mette più in dubbio che il sistema delle cooperative rosse raggruppato nella Lega abbia rappresentato la maggiore fonte di denaro per i comunisti e i postcomunisti attraverso canali nella maggior parte dei casi illegali...».
A testimonianza dell’affermazione citavo il rapporto dei Ros-carabinieri del 1997 riportato dall’istruttoria del magistrato Carlo Nordio che si era concluso con l’accertamento dei finanziamenti che però erano stati canalizzati attraverso operazioni la cui responsabilità era difficile ricondurre ai massimi dirigenti Pci (vicenda Greganti).
La querela di D’Alema che si aggrappava non alla sostanza dell’articolo ma ad alcune parole da me usate, forse avventate da un punto di vista giudiziario, si concluse, come di consueto, con il ritiro della querela da parte di D’Alema in cambio di una mia lettera (e al pagamento di una somma milionaria) in cui precisavo che alcune parole da me usate erano di troppo in quanto «il mio articolo era unicamente finalizzato ad esprimere il mio pensiero circa la necessità di iniziative politiche e legislative volte a favorire le legittime e aperte contribuzioni di persone fisiche e giuridiche», e non aveva alcun obiettivo diffamatorio per cui davo atto «che la Fondazione da lei presieduta assicura la più assoluta trasparenza e pubblicità in ordine a ogni forma di finanziamento e a ogni soggetto finanziante».
La storia dei finanziamenti al Pci è molto più complessa di quel che la memoria collettiva ricorda oggi dopo un quindicennio da tangentopoli. Infatti l’alluvione giudiziaria di Mani pulite ha funzionato al tempo stesso come un’esaltazione delle illegalità nel finanziamento alla politica per una parte, e come un lavacro cancella-responsabilità per un’altra parte.
L’intero processo di Mani pulite ha fatto sì che si distinguessero e si discriminassero i colpevoli, tutte le forze e le correnti non comuniste e non sostenute dai comunisti, e gli incolpevoli rappresentati dal Pci, dai suoi successori e dai più stretti alleati. L’opinione che distingue colpevoli e incolpevoli che ormai è consolidata, in realtà non solo fa grande torto alla verità storica della politica nella Repubblica, ma si ripercuote anche sul modo in cui si legge ancora oggi la pretesa «diversità morale» delle forze di ascendenza comunista, come si è visto di recente con la vicenda Unipol.
Nel 1999, alla fine del decennio terribile, pubblicai il libro Soldi & partiti - Quanto costa la democrazia in Italia in cui analizzavo, in base a una gran massa di dati e di documenti acquisiti con attente ricerche, l’intera vicenda del finanziamento ai partiti, a tutti i partiti del cinquantennio repubblicano. Il mio intento esplicito era di dimostrare con i fatti e senza pregiudizi, come l’intero sistema di finanziamento ai partiti, quello pubblico legale, rappresentante circa un decimo dell’intero costo della politica, e quello illegale incidente per gli altri nove decimi delle spese politiche, era organizzato in una maniera indegna per una democrazia liberale.
Il libro non ebbe larga diffusione, nonostante che trattassi con tanto di nomi e cognomi e senza omissioni l’intera vicenda che aveva fatto scandalo per un intero decennio. Probabilmente il silenzio calò sul mio Soldi & partiti perché accanto alle note vicende tangentizie dei partiti (Dc, Psi, Psdi, Pli, Pri) che erano crollati (oltre che per loro responsabilità) anche in seguito alle incalzanti iniziative di Mani pulite, mettevo a fuoco anche l’altra faccia dell’illegalità su cui era calata una cortina di silenzio. Con una documentazione inoppugnabile (per cui non ho ricevuto una sola smentita e querela) mettevo a fuoco la lunga serie di finanziamenti ricevuti dal Pci e i modi attraverso cui erano riusciti a evadere il rigore giudiziario o a superarlo attraverso una gestione più accorta di quella dei partiti non comunisti.
È perciò che oggi, con il tema tornato d’attualità per le note vicende delle coop rosse, mi pare utile riproporre alcuni stralci di quel libro che è rimasto dimenticato.


Con questo numero del Giornale comincia dunque la pubblicazione di alcuni articoli sui soldi ricevuti dal Pci che vogliono rappresentare una sorta di memorandum sui seguenti temi: 1) perché in Italia il finanziamento alla politica è sempre stato un tabù; 2) i coinvolgimenti del Pci nella vicenda P2-Corriere della Sera-Rizzoli; 3) la grande spartizione della finanza pubblica; 4) le innominabili tangenti rosse; 5) dollari e rubli a gogò.
m.teodori@mclink.it
(1.Continua)

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