Quel faccia a faccia burrascoso E il Pdl rilancia sull’immunità

RomaCappotto sulle spalle, cartellina in mano e, soprattutto, testa bassa. Silvio Berlusconi non ha il volto disteso. E la causa non è la stanchezza accumulata lunedì a Berlino, per le celebrazioni del Ventennale della caduta del Muro. Quando il Cavaliere raggiunge infatti il pian terreno ed esce dall’ascensore, seguito da Gianni Letta e Sestino Giacomoni, è di umore nero. E poco importa se più in là, una volta lasciato Montecitorio, a favore di telecamere dirà che «è andata bene». In realtà, il premier è costretto a fare buon viso a cattivo gioco, abbozzando di nuovo, nel tentativo di capire cosa passi davvero nella mente di Gianfranco Fini.
E allora, niente prescrizione, tanto per cominciare: in cambio, un’intesa al ribasso sul processo breve. Un compromesso a cui deve sottostare - «quantomeno per adesso», pronostica un ex azzurro fautore dello scontro aperto e del ritorno alle urne - per evitare di far saltare il banco della maggioranza. Ma è un bicchiere mezzo vuoto, per il Cavaliere, che non nasconde l’amarezza per l’esito del faccia a faccia di due ore: condito, raccontano, da momenti di tensione. Così, al di là delle urla che qualcuno avrebbe sentito al primo piano, Berlusconi si limita a riferire che «il provvedimento» allo studio «verrà presentato subito al Senato».
Avverrà oggi, con molta probabilità, per venire approvato magari entro Natale. Partirà quindi da Palazzo Madama il disegno di legge (non si sa ancora se lo firmeranno i capigruppo o tutti i senatori Pdl), nonostante Berlusconi abbia chiesto a Fini di «intestarsi» il provvedimento, in modo da figurare come «garante» e stoppare ulteriori polemiche. Un «niet» che contribuisce non poco a far montare la rabbia del presidente del Consiglio, che sbotta più volte durante l’incontro mattutino. Anche quando Fini gli ricorda - prendendo spunto dalle carenze lamentate da alcune procure - che i problemi di giustizia non riguardano solo lui. Detto questo, ci saranno nuove risorse in Finanziaria per il settore, garantisce Berlusconi e annuncia Fini, anche se non interventi a pioggia. In definitiva, tanto per capirci, il Cavaliere non la prende bene. E rimane dentro di sé deluso per la mancata «totale solidarietà» che si sarebbe aspettato dal co-fondatore del Pdl: è questo, d’altronde, lo sfogo che riserva nei colloqui con i suoi.
Ma è una partita non del tutto aperta. E non solo perché sullo sfondo rimane sempre l’ipotesi di reintrodurre l’istituto dell’immunità parlamentare. «Uno strumento già introdotto nella Carta dai padri costituenti», è il ritornello degli ultimi giorni che circola nel Pdl sponda Forza Italia, poi cancellato per via di Tangentopoli. E allora, «torniamoci davvero alla Costituzione», rilanciano da Palazzo Grazioli, visto che in origine non fu pensato come un privilegio, ma perché «garanzia di libertà degli eletti rispetto alla corporazione dei magistrati».
Si vedrà. Così come è presto per capire quando verrà davvero trovata la «quadra» sulle Regionali. «Aspettiamo di avere uno scenario completo», quantomeno in casa Pdl, «prima di incontrare Umberto Bossi», spiega Berlusconi prima di lasciare la Camera, anticipando lo slittamento del vertice a tre in programma oggi. Prima di risedersi al tavolo con il Senatùr, infatti, vanno sciolti parecchi nodi. Oltra alla partita al Nord, con la Lega che spinge su Veneto e Piemonte (l’ipotesi di una doppia candidatura è poco realistica), puntando magari alla Lombardia, dove però Roberto Formigoni rimane super-blindato, a complicare i giochi è innanzitutto la questione Campania. Dove la candidatura di Nicola Cosentino - a cui Berlusconi chiede di tenero duro - per Fini non è più «nel novero delle cose possibili». E allora, prende quota per la corsa a governatore l’ex aennino Pasquale Viespoli, anche se nel calderone potrebbe finire pure la volata per il candidato sindaco di Napoli: i finiani spingerebbero per Marcello Taglialatela.

Di conseguenza, nel Lazio si pensa seriamente ad Antonio Tajani, che lascerebbe la carica di vicepresidente della Commissione Ue (e il posto spettante a un italiano) a Massimo D’Alema. Sempre che l’ex presidente Ds la spunti per la nomina a ministro degli Esteri europeo.

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