Quel partito nuovo così legato al passato

Il Partito democratico, così ansioso di mostrarsi moderno, futurista e futuribile, nel redigere nei giorni scorsi il suo «Manifesto dei valori», una sorta di magna charta, ha omesso il richiamo alla Resistenza e al suo substrato politico, l’antifascismo rituale e immarcescibile. Il partito che Veltroni guida puntava, pare, sul XXI secolo, sulle sfide di un futuro di sinistra e tuttavia senza soffrire l’handicap di parole pesanti come pietre che giungono direttamente dal «secolo breve», il Novecento di ferro e di fuoco. Ebbene, un simile volo verso gli orizzonti di un progressismo europeo liberato dalle sue fascinazioni totalitarie, non è piaciuto alla sinistra che si sdraia sulla linea passatista di un comunismo per i suoi seguaci non proprio morto, ma soltanto dormiente.
Contro il Partito democratico si è subito scatenato un fuoco di sbarramento proprio dalle postazioni comuniste e da quelle contigue. Fausto Bertinotti, uomo delle istituzioni ma pur sempre subcomandante non si sa di che cosa, ha affermato che il Pd «ha un debito nei confronti della Resistenza per cui voglio sperare che si tratti di un’omissione che verrà corretta immediatamente». Franco Giordano, sub-sub-comandante, è più drastico e intransigente. «Il Partito democratico – giudica senza attenuanti il segretario Prc – colloca le proprie radici distanti dai valori dell’antifascismo e della Resistenza su cui si fonda la storia della sinistra italiana». E di conseguenza lancia l’appello alla formazione di una sinistra «unitaria e plurale» che metta a posto anche gli avventuristi e gli smemorati del Partito democratico.
Anche Cesare Salvi, senatore di Sd ha sparato contro il partito di Veltroni. «Il Pd - ha detto – ritiene forse che sia pura retorica appellarsi ai valori della Resistenza e che nella svolta non solo politica, ma anche culturale e morale, non ci sia spazio per la Resistenza e l’antifascismo». E il senatore conclude: abbiamo fatto bene a non entrare nel nuovo partito.
È curioso che le critiche al manifesto del Pd siano venute da quelle frazioni di sinistra che della neonata formazione non vogliono fare parte, ma è ancora più singolare che le loro critiche abbiano esercitato un formidabile potere d’interdizione su Veltroni – sedicente uomo nuovo molto legato al vecchio – e sul gruppo dirigente del Pd. Il buon Walter, quando ha saputo delle critiche che gli si muovevano da sinistra, si è affrettato a scrivere una lettera ad Alfredo Reichlin, uno dei protagonisti della commissione incaricata di redigere il manifesto dei valori. Reichlin è così nuovo che dirigeva l’Unità quando ancora il Pcus era considerato dal Pci un partito fratello. Nella lettera Veltroni chiarisce: si citino nella magna charta Resistenza e antifascismo. Fragilità politica, tattica preelettorale? La verità è che la sinistra italiana non può liberarsi dei suoi incubi perché non li ha mai analizzati. Ha sempre evitato il confronto critico col suo passato, con la ideologia antidemocratica, totalitaria, violenta. Quelli che oggi passano per postcomunisti hanno giustificato l’invasione di Budapest e di Praga, la repressione in Polonia e in Cecoslovacchia, i processi, i gulag, i manicomi. Oggi la loro pattuglia avanzata, guidata da Veltroni, dice di puntare al futuro, ma non riesce a liberarsi del passato e si piega al primo insulto dei vecchi compagni.

Mario Melloni, l’arguto Fortebraccio, sfotteva il segretario del Pri scrivendo di aver sentito, alla stazione di Firenze, il seguente annuncio: «È in arrivo sul terzo Binario il senatore Spadolini, con 50 anni di ritardo». Cosa dovremmo dire di Veltroni che marcia su una vaporiera dell’Ottocento? Comprereste un’auto usata da lui? O una grande coalizione?

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