Quell’angolo delle Antille condannato a guerre e disastri

Uragani, terremoti, povertà endemica, rivolte, colpi di Stato e sbarchi dei marine hanno segnato da sempre il tragico destino di Haiti. Un’isola dei Caraibi che è tanto esotica quanto scalognata. Fanalino di coda dell’emisfero occidentale con l’80%, degli oltre nove milioni di abitanti, costretti a vivere al di sotto della soglia di povertà.
Alla cronica instabilità politica si sono sommati i disastri naturali. Haiti ha la sfortuna di trovarsi sulla rotta stagionale degli uragani caraibici. La pioggia e i venti di Jeanne, nel 2004, provocarono 600 morti ed un’intera città fu sepolta dal fango. Altri quattro uragani, due anni fa, hanno piegato l’agricoltura e la rete dei trasporti. Il 70% degli haitiani sopravvive grazie al settore agricolo. Secondo l’Unicef, negli ultimi dieci anni, 20 grandi disastri naturali hanno provocato diecimila morti e immani distruzioni. L’alta densità della popolazione, 280 anime per chilometro quadrato, aumenta il numero di vittime di alluvioni, frane e terremoti. Tre dei quattro milioni di bambini haitiani sono colpiti dal perenne stato d’emergenza. Circa il 60% delle famiglie delle zone rurali e il 32% delle aree urbane soffrono di una cronica insufficienza alimentare. L’Aids è la malattia nazionale.
Cristoforo Colombo non avrebbe mai potuto immaginare un destino così ingrato per l’isola dove sbarcò dalla Santa Maria, il 5 dicembre del 1492. Il territorio che oggi è diviso con la Repubblica Dominicana venne battezzato con il nome di Hispaniola. Terra di schiavi, che sull’onda della Rivoluzione francese si ribellarono al dominio di Parigi ottenendo l’indipendenza nel 1804. Haiti fu la prima Repubblica libera dei neri delle Americhe, ma la più sfortunata. Gli Stati Uniti la occuparono, per fermare l’influenza tedesca, nel 1915 imponendo una costituzione scritta dal futuro presidente Franklin Delano Roosevelt. Costruirono scuole, ospedali, strade e fu debellata la febbre gialla. Washington lasciò il Paese nelle mani della minoranza mulatta, ma con la democrazia iniziarono i guai. Le prime elezioni a suffragio universale, pilotate sotto banco dai militari, portarono al potere François Duvalier nel 1957. Soprannominato Papà Doc e intriso di credenze voodoo si autonominò presidente a vita. La sua polizia segreta faceva sparire chiunque si lamentasse. Li chiamavano Tonton Macoutes, gli uomini spettro della credenza creola-haitiana che rapivano i bambini. Alla morte del padre-padrone dell’isola la successione fu garantita dal figlio diciannovenne Jean-Claude Duvalier, chiamato Baby Doc. Famoso soltanto per corruzione e violenza, fu Giovanni Paolo II, durante la visita del 1983, a decretare l’inizio della sua fine con un pronunciamento storico: «Le cose devono cambiare qui!».
Tre anni dopo Baby Doc veniva deposto; allora il movimento cattolico pro-democratico sembrava il primo raggio di speranza per il Paese. Un ex prete salesiano, sposato a una legale americana, Jean-Bertrand Aristide, fu eletto presidente, ma ben presto deposto da un golpe. Tre anni di brutale regime militare provocarono lo sbarco dei marine che riportarono al potere Aristide. Nonostante le aspettative, il presidente non era all’altezza della situazione. Dopo di lui arrivò René Préval, l’attuale presidente, che fu il primo a non trasformarsi in dittatore e a finire il mandato sulle proprie gambe. Nel 2001, rispuntò Aristide, ma una rivolta armata di bande criminali, ex soldati e ribelli lo costrinse alla fuga. Ancora una volta gli Stati Uniti inviarono i marine a Port-au-Prince per ristabilire l’ordine. Al potere fu messo un giudice, che presiedeva la Corte suprema. L’Onu mandò un contingente di ottomila uomini per stabilizzare Haiti e far tornare a casa gli americani. Diversi Caschi blu sono rimasti sepolti sotto le macerie del terremoto. Anche la loro base è crollata.
Nel 2006, le elezioni hanno riconfermato Préval alla guida del Paese. Il bianco palazzo presidenziale, costruito ai tempi da Papà Doc, è stato seriamente danneggiato dalle scosse. L’esercito era stato abolito da Aristide, l’adepto della teologia della liberazione oggi in esilio in Sudafrica. Nonostante i Caschi blu, insicurezza e instabilità politica non sono ancora debellate. Problemi endemici che si mescolano al traffico della droga. La cocaina in rotta per l’Europa e gli Stati Uniti passa per i Caraibi.

I boss colombiani del narcotraffico utilizzano Haiti per far girare i soldi sporchi, grazie alla corruzione. I giovani haitiani non sognano altro che la fuga verso il miraggio americano. Lungo le vie dei clandestini che attraversano la Repubblica Dominicana, l’altra fetta dell’isola sfortunata.
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