LA «RAPINA» CONCERTATA

La «rapina» delle liquidazioni ai danni dei lavoratori e delle imprese (così disse Andrea Pininfarina, due settimane fa, a Repubblica) pone alcune questioni di fondo.
La prima riguarda Confindustria. Essa ha ottenuto un’esenzione per le imprese con meno di 50 dipendenti (adesso un’azienda con 49 addetti ha un forte disincentivo ad assumere). E ieri, seduta al tavolo con Cgil, Cisl e Uil, ha firmato il via libera alla rapina, grazie a «poche centinaia di milioni di euro» (Tommaso Padoa-Schioppa dixit) di compensazione per le imprese che dovranno fare a meno di questa forma di finanziamento. Paolo Panerai, su Milano Finanza in edicola, l’ha definito un «falso in bilancio». I 6 miliardi di Tfr che l’anno prossimo passeranno all’Inps, vengono infatti considerati un’entrata dello Stato. E non un prestito come sostengono economisti e agenzie di rating. Ebbene la Confindustria per «poche centinaia di milioni di euro» si adegua e addirittura mette la sua firma in calce ad un documento di questo genere? Il signor Bombassei e Montezemolo che ieri hanno sottoscritto il «falso in bilancio» considerano forse il Tfr accumulato dalle loro aziende come un’entrata? Pininfarina, un altro dei vicepresidenti di Confindustria, che per primo parlò di «rapina», oggi si può dire soddisfatto? Quando sentiremo i nostri rappresentanti confindustriali parlare di riforme strutturali, di risanamento dei conti, di ostilità a manovre una tantum con quale credibilità potremo dare loro retta? Che fine hanno fatto i tanti critici della «finanza creativa»?
Seconda questione. Sarebbe interessante iniziare a fare un ragionamento serio su chi rappresentano davvero le cosiddette «parti sociali». Ieri a firmare «la rapina» erano in quattro. Oggi vi diranno che «la concertazione ha dato i suoi frutti». Ci sembra che abbia invece escluso i più, per trovare il preliminare consenso di pochi. Vi è un mondo là fuori che indipendentemente dal suo schieramento politico legge la Finanziaria per i danni che fa e non per la rendita politica che può generare per i suoi vertici.
Terza questione, banalmente aritmetica. L’accordo è stato venduto anche come un’accelerazione della previdenza integrativa. Con una mano lo Stato-Inps vuole 6 miliardi l’anno di Tfr, con l’altra dice di spingere i lavoratori verso i fondi pensione. Chissà chi vincerà la partita: il decollo dei fondi pensione o le esigenze di cassa dello Stato? Ma non diciamo baggianate, gli afflussi di risorse all’Inps sono direttamente proporzionali all’insuccesso dei fondi pensione. Se tutti i lavoratori si affrettassero a sottoscriverne uno, nelle casse dello Stato non entrerebbe un fico secco. Sarebbero contenti al Tesoro del grande successo della previdenza complementare?
Ultima questione riguarda l’ingerenza della politica sull’economia. Confindustria ieri ha sottoscritto la nascita di un deposito pubblico di risorse tutte private. Inaugurando un pericoloso precedente. Un’apertura di credito nei confronti di un governo che al contrario si sta dimostrando molto poco rispettoso della libertà di impresa. Ha varato un codice ambientale penalizzante. Sta bloccando una fusione internazionale di Autostrade, tanto che nel prossimo cda del 10 novembre i Benetton potrebbero mollare la presa.

A Marco Tronchetti Provera, che si è rifiutato di cedere alla nazionalizzazione della rete telefonica, è costato il posto in Telecom. Riguardo Mediaset la riforma Gentiloni costerà circa 400 milioni di euro. In questo quadro vedere ieri sera Montezemolo e Bombassei compiacersi dell’accordo raggiunto fa davvero un po’ impressione.

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