Una riforma più forte degli ostacoli

Una riforma più forte degli ostacoli

Arturo Gismondi

Chiunque vorrà fare, prima o poi, e di qui alle elezioni del 2006, un bilancio dei risultati di una legislatura più ricca di risultati di quanto non si voglia far credere, dovrà citare ai primi posti la riforma della Giustizia firmata in questi giorni, e in tempi brevissimi, da Carlo Azeglio Ciampi. La riforma ha i suoi limiti, che tutti conoscono, che lo stesso Berlusconi ha riconosciuto nel momento in cui l'ha definita «un passo al quale altri seguiranno».
Quel che conta, e che non va sottovalutato, è che la legge di riforma è stata portata a termine in un clima di scontro aspro durato anni, accompagnato da un inesausto ostruzionismo delle opposizioni, che non hanno mai ammesso di poter dare un contributo trattandosi di rinnovare un ordinamento giudiziario rimasto nelle fondamenta quello del lontano 1941. L'esperienza forse, avrebbe potuto suggerire una maggiore ambizione giacché è chiaro in Italia, lo è da tempo, ed è l'esperienza di tutti i riformatori, che le difficoltà di una piccola riforma sono le stesse di una grande, tanta è l'immobilità conservatrice di un establishment roccioso nell'opporsi a ogni e qualsiasi mutamento. Resta il fatto che sulla Giustizia il rapporto di forze è apparso tale, tenendo conto di tutte le magistrature in campo, dell'atteggiamento della stampa, da far ritenere importante di essere riusciti a portare a compimento una legge di riforma costituzionale che in ogni giorno, in ogni ora, ha dovuto tenere conto di resistenze capaci di rendere inutile qualsiasi sforzo. E non ci si riferisce, qui, soltanto a una opposizione parlamentare che ha preferito, pensando così di pagare un qualche tributo, di trasformarsi nel braccio politico di una opposizione tutta corporativa condotta dai magistrati . Non può passarsi sotto silenzio che il loro sindacato ha organizzato in qualche anno quattro scioperi nazionali. E ciò, nonostante che da parte di giuristi non teneri nei confronti della riforma, si siano avanzate riserve serie sulla legittimità di un potere, o di una funzione dello Stato, scesi in campo contro il Parlamento per bloccarne l'attività. Questa resistenza si è spinta fino al voto negativo del Csm, organo di autogoverno della magistratura, mobilitato contro la legge nel momento in cui il Parlamento si apprestava al voto finale!
La firma da parte di Ciampi alla legge di riforma, e la sua tempestività, rappresentano oltre a tutto, una smentita clamorosa a una campagna che ha riempito gli ultimi mesi condotta dalla sinistra in Parlamento e da una gran parte della stampa, una campagna impegnata su due argomenti: i quattro punti indicati da Ciampi nel rinvio alle Camere della primavera 2005 non sono stati soddisfatti; nella legge di riforma è stata inserita una norma sul limite di età per la elezione a compiti direttivi diretta a rendere influire sulle scelte del Csm. Si tratta di argomenti inammissibili poiché la facoltà del Capo dello Stato è quella di un solo rinvio alle Camere di ogni singola . Ciò non ha impedito ad alcuni giornali fra i maggiori - che nel corso del settennato di Ciampi hanno preteso di anticipare la linea del Capo dello Stato, e ancor più di influenzarla - di esporsi a una smentita clamorosa quanto prevedibile. Va aggiunto che spesso Ciampi ha inflitto di queste delusioni alle «fonti accreditate» presso il Quirinale. Lo sport del «tiro della giacca» destinato a coinvolgere l'inquilino del Quirinale in ogni possibile campagna è stato fra i più praticati nel settennato di Carlo Azeglio Ciampi che sta per concludersi felicemente. La sinistra, e il sindacato dei magistrati anticipano le ulteriori linee di resistenza: la Consulta, ovviamente, mentre il sindacato Anm «si limita» a chiedere che il governo, sui punti controversi, quasi tutti, si astenga dal varare i decreti delegati, buttando via insomma la riforma, con tutti i passaggi parlamentari che sono stati necessari per vararla. Una bazzecola alla quale il ministro Castelli risponderà come merita, come ha sempre fatto in questi anni.
Romano Prodi ha già detto che la riforma sarà abrogata dall'Unione in caso di vittoria. Dai sostenitori più settari si giura che tutte le riforme introdotte dal centrodestra dovranno essere spazzate via, e l'elenco fatto di volta in volta serve a capire che qualcosa, negli anni passati, è stato fatto: c'è chi vuole gettare via con precedenza assoluta la riforma della scuola, chi la riforma pensionistica, c'è chi mette avanti a tutto le leggi sul lavoro, la legge Biagi, e c'è chi ritiene che ad essere spazzata via è tutta la riforma istituzionale, compresa quella del titolo V, già approvata dal centrosinistra, e chi ce l'ha con la legge sull'emittenza, chi con l'abolizione dell'imposta sull'eredità, o con la legge Bossi-Fini, e così via. Nell'elenco delle fobie maturate nel corso delle legislatura, ognuno ha le sue precedenze.

Non tutti, nell'Unione, sono d'accordo nel fare tabula rasa di una legislatura tutto considerato più ricca di quanto si voglia far credere. Ma questo è affare che riguarda i vincitori delle elezioni del 2006.
a.gismondi@tin.it

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