La rivoluzione capitalista

È successo che gli americani di At&t e America Movil siano arrivati in Italia con un assegno da 5 miliardi di euro. Sono signori che fanno sul serio e ne hanno i mezzi. E succede che trovino un imprenditore, Marco Tronchetti Provera, annichilito dalle ingerenze della politica e con qualche importante affare mal condotto, disponibile a cedere la chiave di ingresso della Telecom: il suo 18 per cento. L’affare è fatto: gli americani hanno trenta giorni di tempo per staccare l’assegno e aggiungere una ricca tessera all’impero. Tronchetti da settimane faceva il giro delle sette chiese per cedere il pacchetto, con scarsi risultati. E una volta che ottiene la garanzia del cash dagli americani, comunque lascia una porta aperta per una soluzione alternativa. Alla richiesta di At&t di comprare un pacchetto del 6% di Telecom in mano a Mediobanca e Generali, il manager obietta che alle due banche lui può chiedere, secondo vecchi patti, di mettere sul piatto anche le loro quote, ma preferisce non farlo. In modo che proprio Mediobanca e Generali possano trovare una soluzione alternativa (grazie ad un diritto di prelazione che in questo modo automaticamente vantano) a quella americana. Ovviamente però al prezzo già messo sul tavolo.
Succede un finimondo. Il nostro capitalismo è abituato allo scambio delle figurine: io ti do questo, tu mi dai quello. Quando arriva il cash perdiamo la testa. E la conventicola trova al suo interno le crepe più profonde. A ciò si aggiunga che nel frattempo i titoli quotati in Borsa delle società coinvolte schizzano in alto: rendendo felici (o meno tristi) i piccoli risparmiatori coinvolti.
Tronchetti ha peccato, con tante prudenze di cui sopra, di eresia: ha messo il nostro sistema capitalistico di fronte alla imbarazzante forza del quattrino. Solo pochi anni fa il manager milanese, che siede nei patti e sfrutta gli accordi del salotto che conta, non avrebbe fatto altrettanto. Si sarebbe mosso con circospezione, non avrebbe alimentato gli appetiti eterodossi e avrebbe rispettato le liturgie del capitalismo latino.
Ma due fattori hanno cambiato la sua attitudine.
Intanto lo scontro violentissimo con la politica, che lo ha tramortito. Tronchetti, anche fisicamente con lo spostamento delle sedi Telecom, aveva preso le distanze da Roma. E questo per una società da soli dieci anni fuori dal controllo statale è troppo. Con un tratto, talvolta anche di arroganza, si è trovato contro anche i regolatori del mercato, che come dimostrano le dichiarazioni fatte ieri dal suo numero uno, appaiono (e questo è già grave) sempre più inclini alle sensibilità del Palazzo.
Il secondo fattore è più banale, ma altrettanto forte.

Ci sono dei pezzi di capitalismo che volenti o nolenti non si possono più sottrarre alle regole globalizzate del mercato: le tlc sono uno di questi settori.
Indipendentemente dalle fortune di Tronchetti, che evidentemente al Giornale importano il giusto, quando nel mercato il quattrino vince sulla politica e sulle camarille, c’è da brindare.

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