«Salgo ancora sul tram ma solo come passeggero»

A guardare quel groviglio di lamiere, tutti avevamo pensato: «Il conducente è morto». E invece Marco Momenté, alla guida del tram 12 durante il tragico incidente dello scorso 14 febbraio in via Larga, ce l’ha fatta. Ora torna al lavoro. Si lascia alle spalle 425 giorni di calvario, 53 giorni inchiodato al letto di un ospedale, oltre 40 punti alla testa. «Ma sono vivo» scandisce con un sorriso pieno. Tra qualche giorno Marco compirà 34 anni e festeggerà con i colleghi al deposito di via Leoncavallo. «Ora lavorerà qui, in ufficio» spiega Roberto Uccello, responsabile del deposito.
Marco, un giorno vorresti tornare a guidare il tram?
«No, mai più. Prendo dei farmaci e non ho più i riflessi di prima. Ho paura. Guido la macchina ma solo per tragitti brevi».
Però non hai paura di usare i mezzi pubblici?
«No, al lavoro vengo in metrò. E salgo sul tram, ma non sto davanti. Se posso mi metto nei sedili centrali».
Dici che sono più sicuri?
«Davanti rischi il frontale, dietro il tamponamento. In mezzo stai più tranquillo».
Cosa ti ricordi dell’incidente?
«Mi ricordo solo una frazione di secondo, quando il bus ha sterzato. Poi nulla. Ho cominciato ad aprire gli occhi una settimana dopo. Ero in coma farmacologico».
Sai che tutti avevamo pensato al peggio?
«Lo so, in effetti sono un miracolato. Ero più di là che di qua. Inizialmente i medici pensavano che non ce la facessi ad arrivare al giorno dopo».
E invece ora non si vedono nemmeno più i punti sulla fronte.
«È stata dura, ma sono qui. Mi hanno tolto la calotta cranica e l’hanno tenuta in coltura a Bologna. Dopo 45 giorni me l’hanno rimessa. Quando mi sono guardato allo specchio per la prima volta mi sono preso un colpo».
È stata dura la riabilitazione?
«Ho avuto molte difficoltà a riprendere a leggere, scrivere e parlare. Pensavo agli oggetti ma non riuscivo a pronunciare il loro nome. E anche adesso confondo la lettera A con la E e, ogni tanto, la destra con la sinistra».
Hai visto i filmati dell’incidente?
«Sì, su Youtube. È strano: tutti hanno scritto di tutto. Io che mi ci sono trovato in mezzo, è come se non avessi vissuto nulla».
Il guidatore del Suv ti ha mai cercato?
«Tramite il suo avvocato ha chiesto di venirmi a trovare. Ma mia madre non ha voluto».
Gli vorresti dire qualcosa?
«No, niente. Si deciderà tutto in tribunale».
E il processo a che punto è?
«A maggio ci sarà un’udienza. È stato rifiutato il rito abbreviato quindi si procederà per le vie tradizionali. Io chiedo solo giustizia. Ci vorrà del tempo, ma da questa storia ho imparato ad avere pazienza».
La tua vita è molto cambiata?
«Un po’, un bel po’. Sono all’80 per cento, non più al 100 per cento. Procedo per piccoli passi, senza fare programmi a lunga scadenza».
Esci la sera?
«Sì, e faccio anche tardi. Ma solo per una volta alla settimana. Non fumo, vado in birreria ma ordino una pinta di Fanta, non posso bere alcolici e nemmeno la Coca Cola per via dei farmaci».
Sei felice di poter lavorare nuovamente?
«Sì, tantissimo, avevo fretta di tornare in pista. Ora sto imparando come funzionano i meccanismi dell’ufficio».
Nessun rimpianto nel vedere i tuoi colleghi che escono in tram dal deposito?
«No, no. Ora preferisco stare dietro alla scrivania. Non potrei fare altrimenti ma mi ritengo già molto fortunato così».


E quell’orecchino, ha un significato particolare?
«L’avevo prima dell’incidente. E l’ho voluto rimettere dopo l’operazione per il mio compleanno. Mi dice che sono vivo, anche se purtroppo non sono più come prima».

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