Schiacciate dallo spread le banche sono pronte a tagliare costi e profitti

Il crollo dei Btp obbliga i manager ad alzare i tassi di interesse a imprese e famiglie Con il rischio di fermare il Paese. La strada: ridurre le spese e i dividendi ai soci

Schiacciate dallo spread  le banche sono pronte  a tagliare costi e profitti

Nei prossimi 5 anni il numero di persone che metterà piede in una filiale bancaria scenderà del 40-50%. I 30mila sportelli italiani continueranno il processo di svuotamento iniziato con l’affermarsi di canali alternativi per la raccolta e gli investimenti: l’attività in filiale, negli ultimi 2 anni, è calata del 35% e secondo Bankitalia scenderà di un altro 15% nei prossimi 18 mesi. La produttività del sistema nazionale, nell’ultimo triennio, è calata del 3 per cento.
Nello stesso tempo le aziende di credito sono impegnate da un lato a far fronte alla crisi del debito sovrano, che pesa sui bilanci per l’effetto svalutazione dei titoli di Stato; dall’altro a fronteggiare l’assottigliamento dei margini di profitto, che è anche una diretta conseguenza della crisi dei Btp: lo spread elevato costringe ad alzare il costo della raccolta (si pensi che pur con i tassi Bce all’1% le banche offrono rendimenti sui depositi vincolati nell’ordine del 4 e più per cento) e dunque a impiegare il denaro (mutui alle famiglie, prestiti alle imprese) a tassi che permettano di avere un margine positivo. In altri termini alle banche resta ben poco per remunerare il capitale. Non a caso il «roe» degli istituti italiani (il ritorno sul capitale investito), che nello scorso decennio viaggiava tranquillamente a due cifre, secondo l’Abi (Associazione bancaria italiana) quest’anno si assesterà in media allo 0,3%. Nel 2013, scontata un po’ di ripresa, si assesterà al 3%: sono almeno 10 punti percentuali in meno degli anni d’oro.

Infine, dal lato dei «padroni» delle banche, cioè i loro azionisti, i tempi cupi si riflettono nella circostanza antipatica di dover tirare fuori nuovi quattrini (negli ultimi 3 anni sono già stati effettuati aumenti di capitale per oltre 15 miliardi e altrettanti dovranno arrivare secondo le richieste dell’Eba nei prossimi mesi) senza più vedere dividendi o quasi: Intesa Sanpaolo distribuiva quasi 5 miliardi prima della crisi, ora il nuovo ceo Enrico Cucchiani eredita un piano industriale che se va bene arriverà a un miliardo; l’Unicredit ne dava 3,5 fino al 2008, mentre l’ad Federico Ghizzoni l’anno prossimo lascerà a secco i suoi soci; Montepaschi staccava 5-600 milioni di cedole, ma ora per il presidente (anche dell’Abi) Giuseppe Mussari il tema principale è quello del rafforzamento patrimoniale.

Inevitabile che tutto questo porti delle conseguenze sui crediti alle imprese. Quanto meno perché, come dice Ghizzoni, l’attuale situazione degli spread obbliga le aziende di credito ad alzare i tassi degli impieghi. Viceversa le banche non ci stanno più dentro.
Ecco allora che, dopo la grande crisi, per il mondo del credito, vero e proprio aggregatore di Pil, si apre una fase nuova, in cui è necessario trovare un equilibrio stabile e diverso da quello del passato tra azionisti, clienti e lavoratori delle banche. Questa è la sfida dei prossimi anni.

Che, in estrema sintesi, si giocherà su una diversa e minore struttura dei costi: quelli attuali sono troppo alti. Rapporti di cost/income (costi su ricavi) nell’ordine del 60% (ma anche 70%) non potranno essere più supportati dal sistema. Dovranno scendere. Verso numeri che, per i più severi banchieri stranieri devono avvicinarsi al 40%. Secondo previsioni più verosimili, come quelle di Francesco Micheli, capo della delegazione sindacale dell’Abi, che sta trattando con i sindacati il nuovo contratto, bisogna andare verso il 50-52% nel giro di 2-3 anni. Per Micheli il tema della riduzione dei costi «non è una novità, le banche lo fanno da tempo. Ora però bisogna andare oltre se no entra in crisi la struttura della banca.

Ma attenzione: non si puo’ pensare di risolvere la questione solo attraverso processi di riorganizzazione o di riduzione del personale, perché oltre a un certo livello saltano gli equilibri. Quello che serve è una complessiva riorganizzazione del lavoro bancario».

Di che parliamo? Di un banchiere sempre più simile a un promotore finanziario, capce cioè di andare dietro a quei clienti che in banca non ci vanno più. Ma non solo: anche di uno sportello più simile a un supermercato, anche negli orari 8-22. Le filiali saranno sì tagliate, ma soprattutto nelle superfici: locali di 200 metri quadri non servono più, ne bastano meno della metà. Così si tagliano gli incomprimibili costi di struttura.

Infine i grandi gruppi dovranno rassegnarsi a tornare a fare principalmente il loro mestiere di banca, tagliando cosulenze e sponsorizzazioni. Così, magari, perderanno anche una parte del potere acquisito in questi ultimi 20 anni. Ma torneranno a fare credito.

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