«Scomunicare chi aiuta i terroristi» Anatema divide i musulmani italiani

Luca Telese

da Roma

Quando tra breve diventerà ufficiale, sarà la prima «Fatwa anti-terrorismo» italiana. E - ovviamente - una fatwa di questo tipo non può non suscitare polemiche, sia da parte di chi fiancheggia il terrorismo (che si sente ovviamente colpito da un provvedimento illegittimo) ma anche da qualcuno che, pur combattendo gli estremisti, non la considera una via efficace. È legittimo che un’organizzazione musulmana utilizzi uno strumento religioso per sanzionare un atto politico, terroristico e illegale? È giusto che l’occidente incoraggi le comunità religiose su questa via? Un leader come Tony Blair ne è convinto. In ogni caso, a parte questioni di metodo, nessuno contesta il contenuto del testo che in queste ore viene approntato dall’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia, l’Ucoii, la più grande delle organizzazioni musulmane italiane. Un testo che contiene una condanna netta e inappellabile di ogni possibile attentato, così formulata: «Invitiamo i musulmani a non dare alcun supporto logistico a persone su cui si possa anche solo supporre che siano legate ad attività di tipo terroristico». Buona parte dei musulmani italiani condividono la strategia. Altri invece, solo alla diffusione delle prime indiscrezioni, esprimono scetticismo, come il presidente della Lega musulmana mondiale, Mario Scialoja (uno dei maggiori esponenti del Centro islamico culturale d'Italia): «Una iniziativa del genere pensata in questo modo, e che abbia questi fini è sicuramente positiva, anche se forse di difficile realizzazione». Contrario l'imam dell'istituto culturale italiano di Milano, Abu Imad. «Queste cose - afferma - non hanno bisogno di nessuna fatwa perchè è scritto nel precetto della sharia il divieto di sostenere attività terroristiche». Favorevoli, invece, molti altri, dal presidente del consiglio islamico di Vicenza, Abdallah Layachi all'imam della moschea Al-Huda di Centocellle, a Roma, Samir Khalvi.
L’iter che l’Ucoii prevede per il testo, messo a punto proprio in queste ore, è capillare, studiato apposta per suscitare un dibattito nella comunità. L'obiettivo dell'Ucoii - insomma - non è solo la promulgazione di una Fatwa calata dall’alto, ma quello di far sottoscrivere questo documento a tutte le moschee italiane. Per avviare un percorso così complesso, l’Ucoii prevede un'assemblea generale nazionale da convocare nei prossimi giorni a Bologna. Nel testo del documento si ribadirà «l'incompatibilità fra il metodo terrorista e la religione islamica e la repulsione nei confronti delle rivendicazioni che usano il Corano per giustificare gli attentati». Per il segretario generale, Hamza Roberto Piccardo, la «scomunica» è «già valida in quanto all’Ucoii aderiscono ben 100 associazioni». Supportata da versetti del Corano, la fatwa spiegherà per quale motivo l'Islam è contro il terrorismo. Non solo. Nel documento si ribadirà «l'incompatibilità fra metodo terrorista e religione islamica e repulsione nei confronti delle rivendicazioni che usano il Corano per giustificare gli attentati».
Non è solo uno sforzo politico, ma anche dottrinario. Un impegno che inizia ad essere richiesto da più parti e non solo in Europa. Proprio ieri, in un editoriale sul giornale arabo Al-Sharq Al-Awsat, l'intellettuale arabo Màmun Fandi ha lanciato un appello: «È il momento di emanare una fatwa e cacciare Osama Bin Laden e i suoi seguaci dalla religione islamica». E aggiunge: «Abbiamo bisogno di una contro-fatwa nella quale si riaffermi che l'Islam non sostiene la violenza contro i civili». Ma il vero problema è anche chi emette la fatwa. La vera autorità riconosciuta da tutti dovrebbe essere il consiglio degli Ulema sauditi, quelli che custodiscono la Mecca.

Ma a parte il fatto che un simile provvedimento fino ad oggi non è stato mai preso in considerazione, resta il fatto che molti terroristi usano la religione come scudo, ma non sono osservanti. L’unico precedente simile? Quello dell’Algeria, quando durante la guerriglia del Fis le autorità religiose definirono «criminali» gli accoltellamenti. Gesto coraggiosissimo. Ma anche allora non sempre ascoltato.

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