«Sconfitti a Milano per aver rincorso Fo»

Giuseppe Salvaggiulo

da Milano

Antonio Panzeri, ex leader Cgil a Milano, esponente riformista dei Ds ed eurodeputato dell’Ulivo, qual è la cosa che ha più funzionato nel centrosinistra in queste elezioni?
«Il grande potenziale dei sindaci uscenti. Torino è il caso più vistoso e mi fa piacere perché Chiamparino ha una sensibilità e una concretezza riformista molto vicine alle mie».
E quella che ha funzionato meno?
«Non abbiamo dimostrato la capacità di maggiore attrazione dell’elettorato del Nord che speravamo di avere. E si è riproposto il problema di Milano e della Lombardia».
Qual è il problema a Milano?
«Non siamo stati in grado di rimpicciolire la distanza con il centrodestra».
Eppure i Ds hanno sostenuto che «già il testa a testa è un risultato positivo».
«Per capire stiamo ai dati. A Milano il 9 aprile avevamo 5 punti di distacco. Oggi, tra la Moratti e Ferrante sono rimasti 5 punti di distacco. E tra le coalizioni diventano 10».
Nonostante l’aumento degli elettori astenuti, che favorisce il centrosinistra...
«...ma no, anzi. L’affluenza di queste elezioni è pressoché uguale a quella delle regionali dell’anno scorso. Il calo alle amministrative è fisiologico e prevedibile. E soprattutto è trasversale, dunque riguarda anche il centrosinistra».
Come «riguarda il centrosinistra»?
«Abbiamo avuto difficoltà a mobilitare il nostro elettorato, che il 9 aprile aveva votato. Se ci fossimo riusciti, a Milano ci sarebbe stata partita. E dall’altra parte, non siamo riusciti a invadere il campo avversario, a sfondare, a spostare i confini degli schieramenti politici. Così vince il centrodestra».
Come mai non ci siete riusciti?
«Ha pesato la stanchezza dopo la campagna elettorale per le politiche, ma anche una difficoltà a far comprendere un progetto compiuto per Milano».
Ha pesato anche il candidato?
«Ha fatto quel che poteva. Anzi la scelta di Ferrante, che non poteva essere catalogato “di sinistra”, andava nella direzione giusta. E aveva il compito di intercettare elettori di centrodestra. Poi questo potenziale si è perso».
E che cosa è successo?
«Bisognava studiare di più Milano. La sua morfologia sociale, dico. Invece si è dato troppo ascolto e troppo si è corso dietro alla sinistra radicale. Penso al caso Dario Fo e ai temi delle infrastrutture. Risultato: non abbiamo convinto una parte della borghesia di sinistra».
Veronesi fu impallinato da sinistra perché «invadeva» il campo avversario e non aveva un’identità definita.
«Su Veronesi qualche errore è stato fatto».
Lei è un convinto sostenitore della nascita del Partito democratico. Come pensa che debba nascere?
«Non deve essere né oligarchico, né un club culturale. Non penso a comitati o comitatini, l’iniziativa spetta ai partiti. E il bottone non si schiaccia solo a Roma. Il processo si può aprire anche il Lombardia, partendo dai temi delle infrastrutture, del federalismo fiscale e dell’apertura all’Europa».


È un processo inarrestabile?
«I dati elettorali lo dimostrano. E non solo per la sinistra: il tema della riorganizzazione della politica riguarda allo stesso modo anche il centrodestra».
giuseppe.salvaggiulo@ilgiornale.it

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