Si fa presto a dire sedici anni di galera. Difficile, però, confrontare gli anni di carta con gli anni veri, che segnano i calendari e la sofferenza dei detenuti. Annamaria Franzoni, che col sigillo della Cassazione è stata dichiarata colpevole di aver assassinato il suo bambino, non sconterà sedici anni. Cè stato un indulto, non dimentichiamolo, e allora i sedici anni diventeranno tredici e poi, poi... Quindi è prevedibile la pena si accorcerà gradualmente, come un panno che sia stato sbadatamente sottoposto a un indebito lavaggio di buonismo. Cè la legge Gozzini, ci sarà la buona condotta e per ogni sei mesi di detenzione un tot di pena automaticamente scontata, e verranno i permessi è una madre con bambini e poi, chissà, la semilibertà, col carcere in cui si dorme ma non si vive. Tutto già visto.
Scrivo queste cose non perché vorrei vedere crocifissa questa donna sulla cui colpa non ho certezze ma perché sembra, e non solo a me, che questa sentenza e le modalità dell«esecuzione pena», come si chiama in gergo tecnico, siano un esempio luminoso, accecante di giustizia allitaliana. Un compromesso stiracchiato, una soluzione azzardosa e inconcludente adottata nel tentativo di contentar tutti non rendendo giustizia a nessuno.
Se Annamaria Franzoni ha ammazzato il piccolo Samuele con la ferocia di cui ha parlato laccusa, dieci anni (o meno) sono pochi, si sarebbe dovuto avere il coraggio di infliggere i trentanni della prima sentenza e farli scontare fino in fondo; se non ha commesso il delitto anche due, uno solo, sei mesi sono troppi e i giudici avrebbero dovuto avere il coraggio di assolvere. Anche perché nelle prime ore successive al delitto ci sono state leggerezze nel preservare la scena del crimine, compromettendo indizi e prove possibili.
Sappiamo che il caso di Cogne ha diviso il Paese, come tutti i drammi giudiziari che toccano i livelli profondi della sensibilità collettiva. Lamara impressione è che i giudici, durante il tormentato iter processuale, più che giudicare con serenità e chiarezza abbiano cercato di comporre in unimpossibile sintesi le pulsioni espresse da unItalia turbata. Trentanni avrebbero soddisfatto soltanto i colpevolisti, sedici, con annessi sconti, avrebbero dato un contentino anche agli innocentisti. Ma in verità questa conclusione delude tutti. Mediare fra pulsioni e interessi espressi dalla società è proprio dei politici, dai giudici ci si attende altro, laffermazione umanamente possibile di responsabilità e dinnocenza.
Salvatore Scarpino
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