La Serbia rischia l’addio del Montenegro

Belgrado sempre più ridimensionata nei Balcani: un indebolimento pericoloso anche per l’Italia

La Serbia rischia l’addio del Montenegro

Maurizio Cabona

da Belgrado

Mors tua, vita mea: ma i delitti stavolta non sono imputabili a Ratko Mladic. Suicidio di Babic e omissione di soccorso nei confronti di Milosevic dissuadevano due mesi fa il generale, accusato della strage di Srebrenica, dalla resa nella quale il governo serbo sperava, per placare il Tribunale penale internazionale (Tpi) dell'Aia e l'Unione europea (Ue). Così quest'ultima ha rotto le trattative per integrare la Serbia-Montenegro, segnale contraddittorio in quanto l'Ue teme il referendum di domenica prossima nel Montenegro.
La rottura fra la Bruxelles degli eurocrati e la Belgrado che con loro vuol convivere ha indotto il vicecapo del governo serbo, Labus - in cerca di simpatie all'estero più che in patria, a dimettersi - puntando a limare l'esigua maggioranza di Kostunica. Su questo quadro, già di per sé «interessante», s'allunga poi l'ombra della dichiarazione d'indipendenza del Kosovo entro l'autunno e senza compensazione per la Serbia, la più logica delle quali sarebbe l'unione con la Repubblica Serpska di Bosnia.
In questi frangenti, eviterà il governo Kostunica elezioni anticipate (la scadenza naturale sarebbe fra un anno), quando i sondaggi danno la maggioranza voti ai partiti alternativi al sistema? E che cosa spinge la Ue, soprattutto nelle componenti nordiche, e gli Stati Uniti a favorire un «caso Hamas» in Serbia, onde giustificare ulteriori embarghi? Il Montenegro - dove amici di Madeleine Albright avrebbero acquistato la locale Telekom - non è ancora del tutto uno Stato criminale solo perché non è ancora del tutto uno Stato sovrano. L'Ue, peraltro si comporta come sovrano fosse da tempo, avendogli riconosciuto un prefisso telefonico diverso da quello serbo. E in Montenegro circola l'euro, non il dinaro: e dalla Ue in Montenegro si entra senza passaporto, diversamente che in Serbia, strana differenza per uno Stato federale escogitato non da Milosevic, ma da Solana. Insomma, ciò che manca ancora al Montenegro è una bandiera diversa e un seggio diverso alle Nazioni Unite. Domenica prossima potrebbe rivendicarli.
Affari loro? Ma anche grane per noi. Molti fingono di non vedere: i francesi, alle prese col declino di Chirac; gli inglesi, alle prese col declino di Blair; i tedeschi, alle prese con una Grande coalizione idonea alla quotidianità, non alle emergenze. Quanto all'Italia, l'indipendenza del Montenegro - confinante con l'Albania - aumenterebbe il già ampio tratto di litorale adriatico da dove i flussi criminosi - provenienti da Russia, Caucaso, Turchia e Vicino Oriente - potrebbero espandersi nel Mediterraneo.
A sua volta indipendente e senza onesta attività oltre a quella agricola, di pura sussistenza, il Kosovo offrirebbe il retroterra occorrente al complesso montenegrino-albanese, dove si sono installate mafie capaci di rivaleggiare con quella siciliana. Dunque anche chi condanna le pulizie etniche fatte dai serbi, ma non quelle contro i serbi, come ne avvengono nel Kosovo, deve temere il magma che si solidifica nel tratto di continente che fronteggia l'area fra il Gargano e Lecce.
Invece l'attenzione di stampa è per lo più dirottata su questioni di principio, in politica più strumentali che altrove. Le alimenta Carla Del Ponte, comprensibilmente: morto Milosevic, improbabile la resa di Mladic, improponibile per Kostunica la sua cattura con la forza (quanti morti costerebbe e quali ripercussioni avrebbe in Serbia?), il Tpi rischia la chiusura, perché nemmeno gli Stati Uniti sono disposti a dilapidare ancora denaro per tenere fra le sbarre imputati secondari.
L'attenzione italiana andrebbe invece concentrata sulla sopravvivenza del governo di Kostunica; se esso cadesse, Kostunica non avrebbe ragione di schierarsi con chi l'ha rovesciato, cioè con Labus e, dietro di lui, il presidente Tadic; caso mai Kostunica troverebbe un'intesa coi radicali di Nikolic (e di Seselj, detenuto all'Aia) per un governo col loro sostegno esterno. Un pacifico cambio di maggioranza a Belgrado, simile al pacifico cambio di maggioranza a Roma, è la meno traumatica delle possibilità: dà infatti per scontata l'accettazione serba del distacco del Montenegro, con relativa perdita dell'accesso al mare, e quella del Kosovo, con relativo nuovo flusso di profughi.


Ma che cosa potrebbe succedere, oltre che in Kosovo, in Macedonia? Le loro popolazioni albanofone sarebbero tentate di unirsi in una Grande Albania islamica, confinante con la Bosnia, islamica. Allora quale intesa sarebbe possibile fra Roma e Belgrado (ma anche fra Roma e Atene), se a Roma fosse ministro degli Esteri l'ex presidente del Consiglio che bombardò la Serbia, avviando la separazione del Kosovo?

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