Da settembre studenti in corteo ogni 3 giorni

Sugli striscioni scrivono "Vogliamo il diritto di studiare", ma poi le aule restano sempre deserte. A Milano, negli ultimi tre mesi, perse più di cento ore di scuola. Senza contare autogestioni e occupazioni

Milano Altro che ansia da interrogazione, altro che preoccupazione per la media dei voti o per le assenze. Gli studenti scioperano ogni tre giorni: abitudine che si trascina dal corteo per la morte di Abba - il ragazzo di colore ucciso a Milano per il furto in un bar - alla protesta di venerdì scorso.
È da settembre che il calendario scolastico è scandito da manifestazioni e occupazioni. Quest’anno più del solito. Risultato: le aule sono mezze vuote e anche chi vuole studiare rimane indietro con il programma per «aspettare» gli aficionados della battaglia anti Gelmini. Quelli che sugli striscioni scrivono «Chiediamo di poter studiare» e che poi a scuola non ci vanno nemmeno.
In tutto sono una ventina le mattinate in cui a Milano, epicentro della rivolta, i ragazzi sono scesi in piazza senza rispondere all’appello in classe. Che vuol dire: venti giustificazioni staccate dal libretto, cento ore di lezione perse, interrogazioni e compiti in classe rimandati a chissà quando. Facendo due conti, dopo 14 settimane dall’inizio della scuola, risulta che è stato organizzato un corteo ogni tre giorni circa. Se in più si aggiungono alle manifestazioni le mattinate di assemblee d’istituto per parlare della riforma Gelmini, i tre o quattro giorni canonici di occupazione e autogestione, allora ecco che le assenze e le lezioni finite in fumo diventano davvero numerose. La fase acuta della stagione delle proteste sembra passata ma tra ottobre e novembre sono stati raggiunti picchi davvero imbarazzanti. I liceali si sono spesso uniti ai cortei non autorizzati organizzati dagli universitari. Anziché studiare matematica e latino hanno passato ore seduti in mezzo alle strade per bloccare il traffico «in nome del diritto allo studio».
«È solo l’inizio» avevano annunciato quelli dell’Onda anomala durante il corteo contro la riforma del 10 ottobre. E in effetti lo era. Da quel giorno ci sono stati, nell’ordine: la protesta del 12, lo sciopero generale di venerdì 17, il blitz alla stazione di Cadorna del 21 ottobre, la manifestazione spontanea del 27, il blocco del traffico nel cuore di Milano del 29. E, dulcis in fundo, il grande corteo del 30 ottobre, con tanto di occupazione dei binari a Lambrate. Anche in quell’occasione gli studenti hanno perso un’altra bella opportunità per stare in classe ed hanno preferito andare in giro per la città a legare cavi di acciaio tra un semaforo e l’altro e a imbrattare i tram con le bombolette.
Novembre è stato altrettanto movimentato, con ben sette cortei in un mese tra cui una trasferta fuori casa. Tra i momenti più caldi: la protesta alla stazione Centrale per avere i biglietti scontati del treno e la partenza in massa per la grande manifestazione di Roma del 15 novembre.
La domanda vien da sé: passino le proteste, fisiologiche a 16 anni, ma quando studiano i ragazzi delle superiori? Un tempo bastavano cinque giorni a letto con l’influenza per rimanere indietro di una bella manciata di capitoli in tutte le materie. E per recuperare le spiegazioni perse ci voleva un po’. Ora la media scolastica sembra l’ultima delle preoccupazioni. Gli stessi presidi non fanno una piega. «Tutto sommato - spiega Clara Rodella, preside del Tenca - sono soddisfatta dei risultati sia come numero di presenze sia come impegno da parte dei ragazzi. Siamo anche riusciti a evitare l’autogestione». Pietro De Luca, preside del Severi, parla di una situazione a macchia di leopardo: «Un paio di manifestazioni hanno svuotato le classi, ma non tutti partecipano a tutto. Ora i ritmi delle presenze in aula sono tornati quelli abituali. I ragazzi degli ultimi anni organizzano le assemblee di pomeriggio, proprio per non perdere le ore di lezione».
Stupita dall’adesione di massa ai cortei è invece Luisa Santolini, ex presidente del Forum delle famiglie e ora alla commissione Cultura alla Camera. «Poi è ovvio - commenta - che bisogna correre per recuperare i programmi e che si arriva a una preparazione raffazzonata.

Andando avanti così, con la politica del “liberi tutti” a fine anno, il livello di preparazione si abbassa drasticamente». La colpa secondo la parlamentare-insegnate è del «cattivi maestri». Cioè di quelli «che fanno politica nelle scuole e manipolano la voglia dei ragazzi di opporsi e di dire “io c’ero”, del tutto normale in adolescenza».

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