Sì al ponte sullo Stretto, senza se e senza ma, perché lo esigono la storia, la geografia, la velocità dei traffici, l’esperienza dei separati da quel brevissimo braccio di mare così bello e così fatale. Mi sia consentito un fugace ricordo personale. Ero cronista, quarant’anni fa, in una redazione distaccata calabrese di un giornale messinese e periodicamente mi toccava di recarmi alla casa madre ad ascoltare il verbo del direttore, quel Nino Calarco che – vedi il destino – è poi stato per qualche tempo presidente della società del ponte sullo Stretto. Una faticaccia, partivo per tempo, prendevo il traghetto e, digerito il verbo, ripartivo a notte col furgone del giornale, bisognoso di traghetto, con le copie calde di rotativa e l’ansia di arrivare in tempo per gli avviamenti postali. Respiravo la brezza della notte e riflettevo. Sulla sciagurata condizione di calabresi e siciliani separati da un mare mitico e tuttavia ridicolo rispetto alle possibilità tecnologiche e realizzative del tempo nuovo. In fondo, come mi aveva spiegato un esperto di trasporti, i collegamenti fra il continente e la Sicilia, tenuto conto dei traghetti e dei treni, si risolvevano in un sentiero di pochi metri da percorrere a senso unico alternato. Una vergogna, un’ignominia rispetto alle esigenze del Paese. Sappiamo tutti che nell’antichità la Sicilia era la terra in cui ciascuno andava a sbattere quale che fosse il suo punto di partenza nel Mediterraneo. Ancora oggi la sua centralità nel mare della nostra storia è certa, nel mare che è stato l’ombelico del mondo, e che ha riconquistato la sua funzione nei collegamenti con l’estremo Oriente e con le Americhe.
Ma ci sono problemi di prospettiva storica che superano e precedono le necessità del traffico, pur importanti.
Diversi studiosi hanno osservato che la Sicilia, della quale pure l’italianità è oggi certa, per qualche tempo, nelle passate stagioni, è stata «sequestrata» all’Europa. Per qualche tempo, poi è risultata chiara la sua comunità di destino con l’Italia, ma l’insularità ha conferito una particolarità tutta speciale alla «»icilianità”.
Il ponte sullo Stretto non intende stravolgere la sensibilità e la consapevolezza storica dei siciliani, vuole soltanto rendere più unita l’Italia. Perché l’unità è fatta di incontri rapidi che tuttavia lasciano il segno, di usure giornaliere che creano un’omogeneità.
Di là dei dibattiti sul destino della consapevolezza insulare dei siciliani e della continentalità miserevole dei calabresi, resta la necessità tecnica di consentire un rapido flusso delle merci dalla Sicilia ad Amburgo.
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